Nei giorni scorsi è stata approvata in commissione Affari istituzionali l’integrazione in Costituzione della tutela dell’ambiente e degli animali. Le modifiche costituzionali proposte riguardano in particolare gli articoli 9 e 41 della Costituzione.

Al secondo comma dell’articolo 9, che rientra tra i principi fondamentali, per il quale la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, viene aggiunto un nuovo comma: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme della tutela degli animali”.



Per quanto riguarda invece l’articolo 41, che stabilisce che l’iniziativa economica “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” viene aggiunto anche “alla salute, all’ambiente”.

Infine, al terzo comma dell’articolo 41, in cui si stabilisce che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali“, viene aggiunto “e ambientali”.



Per la maggioranza in Senato si tratta di “un voto decisivo che farà fare un grande passo avanti al nostro Paese riconoscendo finalmente nella legge fondamentale del nostro Paese la tutela degli animali, dell’ambiente, degli ecosistemi e della biodiversità, la premessa a un cambiamento epocale che dovrà tradursi in atti concreti da parte dello Stato, delle produzioni e dei cittadini”.

Lo sviluppo sostenibile nel Rapporto Brundtland

Le varie proposte di legge portate in Commissione Affari istituzionali nei giorni scorsi sembrano essere monche, perché non si intravede davvero la volontà di impegnarsi costituzionalmente nel raggiungimento dello sviluppo sostenibile. Probabilmente perché, leggendole, sembra che non sia ancora chiaro alle parti politiche il concetto di sviluppo sostenibile così come definito universalmente nel 1987 nel cosiddetto Rapporto Brundtland dal titolo “Our Common Future”, i cui princìpi di equità intergenerazionale e intragenerazionale posti all’attenzione della comunità internazionale hanno determinato nuovi sviluppi del concetto di sostenibilità, che si è esteso non solo alla dimensione ambientale, ma anche a quella sociale. Secondo tale rapporto “lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.



Non vi può essere  sviluppo sostenibile se la sostenibilità non contempla, secondo quanto definito dal World summit on Sustainable Development di Johannesburg del 2002, l’armonizzazione delle tre dimensioni che la caratterizzano: quella economica, intesa come capacità di generare reddito e lavoro in maniera duratura per il sostentamento della popolazione; quella sociale, intesa come capacità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, giustizia, istituzione, democrazia partecipazione) equamente distribuite per classi e genere; quella ambientale, intesa come tutela dell’ecosistema, capacità di mantenere qualità e riproducibilità delle risorse naturali. “Nel lungo termine, la crescita economica, la coesione sociale e la tutela ambientale devono andare di pari passo” (Commissione per il Consiglio europeo di Göteborg, 2001-2002). Il termine “sostenibile”, un tempo legato solo alla sua accezione “green”, oggi deve necessariamente includere anche dinamiche economiche e sociali.

La visione integrata delle tre dimensioni dello sviluppo deve abbracciare anche quella della responsabilità istituzionale, che nel 2015 ha portato alla nascita dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, impegno comune dei Paesi di portare il mondo sul sentiero della sostenibilità.

Al fine di poter raggiungere gli obiettivi sostenibili previsti dall’Agenda 2030 è auspicabile la volontà delle istituzioni politiche di inserire nella Carta costituzionale lo sviluppo sostenibile nella sua accezione poiché gli stessi SDGs contemplano nel complesso, per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile, cinque “P”: persone (per eliminare povertà e garantire dignità), prosperità (intesa sia come agio economico sia come “armonia con la natura”), pace (per promuovere società pacifiche, eque e inclusive fondate su sistemi di giustizia corretti e solidi), partnership (solo la collaborazione tra stati e imprese permette di raggiungere gli obiettivi) e pianeta (come bene da proteggere).

L’iter legislativo e il dibattito politico

L’iter previsto per le leggi di revisione costituzionale è, di norma, più lungo rispetto a quello delle leggi ordinarie. L’obiettivo sembra essere quello di calendarizzare velocemente la riforma per il voto in Aula. Successivamente, la proposta di legge dovrà essere adottata da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione, come previsto dall’articolo 138 della nostra Costituzione.

L’auspicio, però, è che venga rivista la proposta attuale integrandola con altre proposte avanzate nel 2018 (proposta di legge 240disegno di legge costituzionale 938), cui forse il presidente del Consiglio Mario Draghi si è ispirato, in occasione della sua replica al Senato, prima delle dichiarazioni di voto sulla fiducia al suo nuovo esecutivo, dando pieno appoggio al parlamento nell’inserimento del concetto di sviluppo sostenibile all’interno della Costituzione italiana.

In particolare, le proposte suddette chiedono di modificare gli articoli 2 e 9 che riguardano i princìpi fondamentali, e l’articolo 41, compreso nella parte che regola i rapporti economici, nella seguente nuova versione:

Articolo 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale an­che nei confronti delle generazioni future.

Articolo 9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Riconosce e garantisce la tutela dell’ambiente come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Promuove le condizioni per uno sviluppo sostenibile.

Articolo 41: L’iniziativa economica privata è libera. Essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e di sviluppo so­stenibile.

La battaglia per introdurre lo sviluppo sostenibile in Costituzione nella sua più ampia accezione sembra che accenderà, nei prossimi mesi, il dibattito politico, vista la portata del comunicato stampa a nome del primo firmatario della proposta di legge 240 alla Camera di Mauro Del Barba, in cui esprime il suo disappunto per il primo sì in Commissione Affari istituzionali. Secondo lo stesso Del Barba, il presunto inserimento dello sviluppo sostenibile in Costituzione in realtà non c’è, perché “Non basta un timido accenno ‘anche’ alle future generazioni sui temi ambientali per affermare, nel 2021, di aver compreso la portata epocale di quanto dal 1987 la commissione Brundtland definì con estrema chiarezza e oggi tutto il mondo insegue nelle sue dimensioni economica, sociale ed ambientale. Non servono bandierine da sventolare, ma criteri universalmente riconosciuti in grado di impegnare definitivamente il Parlamento al perseguimento del benessere delle future generazioni”.

Un dibattito necessario affinché in fase di modifiche da apportare alla Carta costituzionale ciò venga fatto con il dovuto approfondimento e in modo completo, esaustivo. C’è una cattiva consuetudine quando si parla di sostenibilità o di sviluppo sostenibile: di associarla solo alla dimensione ambiente. Prevedendo solo l’integrazione nell’articolo 2 della Costituzione del diritto alla tutela dell’ambiente non si è neanche “a metà dell’opera”. Le istituzioni politiche hanno il dovere di “promuovere lo sviluppo sostenibile”, da integrare come nella proposta del 2018, nell’articolo 9, ma soprattutto “responsabilizzare” l’economia, in particolare gli operatori economici (vedi le imprese) a non danneggiare l’ecosistema e la sua biodiversità e poi bisogna comprendere che per raggiungere lo sviluppo sostenibile occorre “armonizzare” le tre dimensioni della sostenibilità: economica, sociale e ambientale.

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