La Svimez ha prestato ieri il suo rapporto annuale sul Mezzogiorno. Un appuntamento con il suo presidente Adriano Gianola ed il direttore Luca Bianchi che ha restituito una fotografia precisa dello stato di difficoltà che il Mezzogiorno attraversa. I macrodati aggregati che producono il Rapporto sono una delle eccellenze scientifiche a disposizione degli studiosi, consentono la verifica a posteriori delle politiche economiche dei governi ed una proiezione, estremamente precisa, degli impatti attesi dalla nuove misure per il Mezzogiorno.
Quel che è emerso è un’evidente aderenza tra i dati e quanto ampiamente previsto da molti. Il reddito di cittadinanza ha avuto un effetto sostanzialmente nullo sull’economia del Mezzogiorno e non ha arrestato l’accrescersi del divario tra cittadini, né ha avviato una politica di convergenza tra le diverse aree del Paese che restano, drammaticamente, sempre più lontane le une dalle altre. Anzi, per il modello Svimez la tendenza allo spopolamento del Mezzogiorno proseguirà in maniera inesorabile, con 5 milioni di cittadini del Mezzogiorno che lo abbandoneranno per trovare occasioni di lavoro e realizzazione personale altrove entro il 2050. E quei 5 milioni sono costituiti, in prospettiva, dai cittadini più dotati di strumenti culturali e formativi e, tramite ed a causa delle loro competenze, si metteranno in contatto con le economie avanzate del Nord e del resto dell’Europa, dove troveranno un’altra casa. Incapaci, impossibilitati a trovare nel Mezzogiorno un ambiente che sappia apprezzarne le competenze e valorizzarli. Espulsi di fatto perché troppo avanti con le loro capacità.
In questo contesto appare chiaro a tutti che il Mezzogiorno non ha il tempo che il premier Conte invoca, quando chiede di vedere i risultati “sul lungo periodo” per il reddito di cittadinanza. Nel lungo periodo, parafrasando il grande Keynes, il Mezzogiorno sarà morto e diverrà una periferia desertificata piena di nuove Bagnoli contaminate e di cattedrali di cemento senza uso. Un po’ quel che rischia di accadere a Taranto, con gli investitori privati, quelli che dovremmo accogliere nel giubilo, che scappano lasciando oltre diecimila operai con l’ansia di futuro ed un’intera filiera dell’economia nazionale senza una presidio produttivo. Questo è il Mezzogiorno che oggi abbiamo davanti senza inversione di rotta. Un luogo di residenti senza prospettiva ancorati alla stabilità di un sussidio (che spetterà anche agli operai dell’Ilva di Taranto, se così la storia va avanti) o di uno stipendio pubblico come uniche garanzie.
L’alternativa, dice saggiamente Svimez, è investire tanto e di più. In settori strategici come la bioeconomia, in saperi avanzati per le start up tecnologiche ed utilizzando, stavolta tutti, i fondi per la coesione troppo spesso rimasti in cassa per mancanza di cofinanziamenti.
E bene fa il ministro Provenzano a ribadire la sua determinazione. Esponente della scuola della Svimez, conosce le insidie del disfattismo sul Mezzogiorno. Ma sappiamo che proseguire nel costruire una narrazione fatta di ottimismo della volontà può non essere sufficiente. Servono strumenti straordinari e misure draconiane senza limiti alla sperimentazione normativa e fiscale per rimettere al centro delle esigenze del Paese il Mezzogiorno come unica possibilità di crescita vera del Pil nazionale e di ripresa del mercato interno per le imprese del Nord.
Ragionamento spesso fatto, ma che poi si scontra con le contingenze di governo e con le necessità sopravvenute. Perciò spesso si difendono gli allevatori delle mucche da latte del Nord dalle multe per extra-produzione usando quei fondi che servirebbero al Mezzogiorno, solo perché è quel che serve al consenso del momento, o si ripartiscono i fondi su base storica invece che sulle reali condizioni e necessità del Paese per non scontentare l’elettore più prossimo.
Con un paradosso. Mentre le Regioni languono nella loro incapacità di spesa, nel Nord accade oggi che una Regione conceda uno sconto del 15% sul bollo auto a chi pagherà via conto corrente. Solo scegliendo il metodo di pagamento si ottiene la decurtazione, senza limiti di cilindrata, censo o altro. Ecco quel che accade. Il surplus fiscale viene utilizzato per abbattere la pressione fiscale nel territorio del Nord mentre nel Mezzogiorno la depressione economica porta le aliquote al massimo incidendo su redditi inferiori.
Questa spirale è semplicemente irreversibile se si continuerà a giocare con le stesse regole e questo ben lo evidenzia la Svimez che spiega, da decenni, che le politiche economiche si valutano sui risultati e che i risultati sono frutto di scelte dei politici che le attuano.
Serve coraggio, ci dice Svimez, per cambiare il trend, serve coraggio ed intelligenza per comprendere come uno sforzo unitario e nazionale sia il vero metodo innovativo per riattivare strumenti di investimento straordinari per metodo e consistenza e per invogliare gli investimenti con norme semplificate dedicate al Mezzogiorno. Questo Svimez ci racconta da decenni e continuerà a fare negli anni a venire misurando e verificando i risultati di ogni Governo.