Non è solo giustificato, ma anche doveroso e indispensabile l’intervento dello Stato per affrontare e limitare, anche dal punto di vista economico, le conseguenze della pandemia. Per tante ragioni. Per evitare che una crisi congiunturale e momentanea si trasformi in un ridimensionamento pesante della struttura stessa del sistema.
Per un principio di condivisione e solidarietà. Per limitare contraccolpi asimmetrici di fronte alla divisione tra settori pesantemente colpiti, come il turismo e la ristorazione, e settori che invece hanno non solo resistito, ma in qualche caso anche tratto vantaggi dalla situazione.
L’Unione europea peraltro ha saggiamente sospeso uno dei capisaldi del mercato unico, quel divieto di aiuti di Stato che doveva garantire, e in gran parte ha garantito, uno scenario di libera concorrenza e quindi di pari condizioni per tutte le imprese.
L’intervento dello Stato tuttavia ha anche aperto la strada a molte riflessioni sia di natura finanziaria, con l’aumento particolarmente forte del debito pubblico, sia di natura strategica per il ruolo marginale in cui rischia di essere messa non tanto l’iniziativa privata, quanto le regole di un libero mercato che è un indispensabile motore della dinamica economica.
Non è senza fondamenti il rischio di un passaggio da un supporto statale per far uscire l’economia dalle sabbie mobili della crisi a uno statalismo di vecchio stampo con un controllo diretto dello Stato sui fattori più importanti dell’economia.
La battaglia contro lo statalismo è stato uno dei capisaldi dell’impegno politico di Luigi Sturzo, uno statalismo che era considerato una delle tre “male bestie” insieme alla partitocrazia e allo spreco di denaro pubblico. Ed è meritorio che Flavio Felice, docente di storia delle dottrine politiche all’Università del Molise, dedichi il suo impegno di studioso a dimostrare l’attualità e la coerenza del pensiero sturziano nell’attuale realtà economica e sociale.
In particolare, l’ultimo libro di Felice “Popolarismo liberale” (Ed. Scholé, pagg. 160, € 13) prende in esame con particolare efficacia le tesi dell’economia sociale di mercato in cui si evidenziano tre principi fondamentali collegati in quella che viene chiamata “costituzione economica”: la dimensione poliarchica della società civile, il principio di sussidiarietà e il rifiuto della discrezionalità politica nell’organizzazione del mercato. Principi che rimettono al centro la persona rispetto allo Stato, il bene comune rispetto al consenso politico, il popolarismo liberale rispetto al populismo demagogico.
L’economia sociale di mercato, sottolinea Felice, “è una tradizione europea, tedesca e italiana, che germoglia dal solco del pensiero sociale cristiano, almeno di quella parte che è stata in grado di opporsi ai totalitarismi del nazismo, del fascismo e del comunismo”. Una dimensione costruttiva quindi che ha alla sua base la libertà e la responsabilità degli agenti economici dove lo Stato svolge una funzione di arbitro regolatore. Un’economia aperta è in fondo l’unica prospettiva in cui si contrastano le tentazioni dei monopoli e degli oligopoli, due realtà economiche naturalmente frutto di una forte presenza statale o di una mancanza di adeguata regolamentazione.
È significativo che il percorso che Flavio Felice propone in questo libro dedichi un capitolo importante con un esame dell’enciclica “Laudato sì” per sottolineare come sia decisivo affrontare il tema del rapporto uomo-ambiente-economia per uno sviluppo integrale che ha bisogno oltre che di basi materiali anche di una prospettiva che dia un senso e una speranza alle persone. E altrettanto significativo è il fatto che le conclusioni mettano in luce come i principi liberali, con Popper, Hayek ed Einaudi non solo non escludono, ma anzi difendano interventi anche estesi di solidarietà come, con precise regole e particolari condizioni, il salario minimo o il reddito di cittadinanza per garantire il più possibile la parità dei punti di partenza. Ma, avverte Einaudi, “anche chi ammette il minimo dei punti di partenza, sa che bisogna cercare di stare lontano dall’estremo pericolosissimo dell’incoraggiamento all’ozio”.
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