È dai primi anni 90 del secolo scorso che la Svizzera, prendendo atto dei grandi rivolgimenti geopolitici scaturiti dall’implosione dell’Unione Sovietica, ha riadeguato la concezione e la pratica della sua neutralità. Com’era accaduto del resto ad ogni svolta storica significativa sin dal XVII secolo, quando di fronte alla catena di conflitti che va sotto il nome di Guerra dei Trent’anni la vecchia Confederazione capì che solo una condotta neutrale della Dieta federale avrebbe potuto evitare l’esplosione di contrasti laceranti tra le popolazioni che la componevano, divise tra cattolici e protestanti oltre che appartenenti a lingue e culture diverse. 



Dopo il 1991 si trattò nuovamente di adeguare il concetto di neutralità all’evoluzione del rapporto tra Stati sovrani, regolato dal diritto internazionale.

Questo comporta che da trent’anni la Svizzera non pratica più un’arcaica neutralità integrale e condanna le gravi e palesi violazioni del diritto internazionale. È dunque da gran tempo che la Confederazione non solo partecipa alle sanzioni dell’Onu, ma a volte adotta anche quelle dell’Ue.



Fa impressione leggere su giornali italiani carichi di storia e buon giornalismo fake news degne di Sputnik o della mitica Tass, come queste: “Segnate la data perché non era mai successo (…) Putin è riuscito dove nessuno era riuscito prima: a convincere gli svizzeri a sostenere una guerra, cosa dalla quale si sono astenuti dopo a battaglia di Marignano (oggi Melegnano) combattuta nel settembre del 1515”. O anche titoli insindacabili di questa fatta: “La Svizzera: sanzioni alla Russia come l’Ue. Rotta la storica neutralità”; “La Svizzera non è più neutrale: ok alle sanzioni contro Mosca”. 



Ovviamente la Svizzera non “sostiene” nessuna guerra, continua a essere neutrale, così come partecipa da tempo a campagne sanzionatorie contro Stati “fuori legge” e che violano i diritti umani, e peraltro lo fa solo con misure di tipo economico, mai con misure di carattere militare (neppure gli elmetti…).

Fu per la precisione nel 1998 che la Svizzera partecipò per la prima volta a sanzioni economiche adottate al di fuori dell’Onu, cioè a quelle decise dall’Ue contro la Repubblica federale di Jugoslavia. 

E se c’è una data che andrebbe segnata per davvero è quella del 2002, quando la Confederazione entrò nelle Nazioni Unite, mantenendo beninteso la propria neutralità e assecondando di regola le sanzioni (economiche) decise dall’Onu. Per soprammercato – annotare onde evitare altri bruschi risvegli da marmotte in letargo – Berna dovrebbe, salvo rinvii, entrare a far parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu per il periodo 2023-2024. E questo perché ritiene che gli obiettivi che la Svizzera vuole raggiungere con la sua politica neutrale coincidano con il mandato del Consiglio di sicurezza e siano in linea con la neutralità. Del resto, altri Stati neutrali – come l’Austria, il Costa Rica e attualmente l’Irlanda – offrono regolarmente i propri servizi nel Consiglio di sicurezza.

Solo ancora un paio di rilievi storico-diplomatici. Il fatto che la Svizzera, per bocca di Ignazio Cassis (il “medico italiano” – Corriere della Sera scripsit – divenuto presidente della Confederazione; sua l’affermazione “siamo neutrali, non indifferenti”), abbia adottato ieri l’intero pacchetto di sanzioni deciso dall’Unione Europea ha un spiegazione molto semplice: si vuole evitare che, come accadde ad esempio nel 2014 in occasione del primo conflitto ucraino, enti e persone colpite dalle misure cerchino di aggirarle triangolando con istituzioni elvetiche (leggi banche).

Ci si può chiedere infine per quali ragioni da due secoli la neutralità svizzera sia riconosciuta, e ritenuta di un qualche interesse, dalla comunità internazionale. L’utilità è duplice e riguarda da una parte i ben noti interventi umanitari offerti dalla Confederazione sulle scene dei conflitti e dall’altra i cosiddetti “buoni uffici”, ovvero le mediazioni diplomatiche nel caso di guerre ma anche di tensioni permanenti: l’Iran e l’Arabia Saudita, per fare un esempio poco noto, non hanno tra loro rapporti diplomatici e nel quotidiano, al di là di sporadici meeting (semi)occulti, si parlano regolarmente solo attraverso i diplomatici svizzeri delle ambasciate di Teheran e Riad.

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