Il Parlamento di Tobruk, in Cirenaica, ha votato la sospensione del premier Fathi Bashagha, accusato di aver sperperato denaro pubblico. Al suo posto Osama Hammad, attuale ministro della Pianificazione e delle Finanze del cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn). Il suo sarà dunque un interim. Sulla carta potrebbe sembrare uno dei tanti avvicendamenti in un Paese da anni nel caos, in realtà dietro questo caso si apre uno scenario che, almeno sul lungo periodo, potrebbe portare a una riunificazione della Libia o almeno a qualcosa che gli assomigli.
Quel che conta, infatti, è che Dbeibah e Haftar, i due attori principali sulla scena, che controllano parti consistenti del territorio, starebbero trattando, se non per un Governo comune, per una gestione senza conflitti interni del Paese, che significherebbe un passo avanti anche in vista di una futura ritrovata unità. Una situazione ancora ingarbugliata, come sempre negli ultimi anni in Libia, ma che potrebbe evolversi verso una stabilizzazione di tutta l’area, con vantaggi economici e in termini di controllo di flussi migratori anche per l’Occidente e per l’Italia. Lo spiega Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di InsideOver.
Com’è la situazione attualmente in Liba, come sono rapporti tra Dbeibah e Haftar?
Il Parlamento di Tobruk, che è stanziato nell’Est del Paese, braccio politico di Haftar, ha sfiduciato Bashagha, primo ministro del Governo supportato da questo Parlamento, in contrapposizione al Governo ufficiale, a Tripoli, guidato da Dbeibah. L’ingombrante Bashagha viene estromesso mentre si parla di trattative tra Dbeibah e Haftar in vista di un accordo finalizzato o a mantenere una situazione di equilibrio latente tra i Governi, che non si farebbero più la guerra, o ad arrivare a un nuovo Governo, stavolta di unità nazionale.
Qual è la più probabile tra le due ipotesi? L’accordo di non belligeranza tra i due o addirittura un esecutivo unico nel quale entrambi avrebbero un ruolo?
La prima, perché fare un rimpasto oggi a Tripoli vorrebbe dire scardinare delicatissimi equilibri. Sono più portato a pensare al mantenimento formale dello status quo, ma al tempo stesso a un avvicinamento costante delle parti che in qualche modo renderà la Libia un po’ più governabile rispetto a quanto lo è oggi.
Sintetizzando: nel breve periodo è più credibile l’avvicinamento tra i due che poi però, sul lungo periodo, potrebbe portare anche a una riunificazione del Paese con entrambi i contendenti protagonisti?
Esatto. Potrebbero procedere a tappe: preservare l’attuale situazione e fare in modo che questi accordi, sottobanco ma non più segreti, reggano. E in un secondo momento, se questa fase dovesse essere superata, arrivare alla vera e propria formazione di un vero Governo di unità nazionale, che prepari il Paese a nuove elezioni o semplicemente gestisca la situazione in modo più ordinato rispetto a oggi.
La trattativa tra Dbeibah e Haftar su cosa verte, cosa chiedono l’uno all’altro?
Entrambi hanno capito che è meglio non farsi la guerra a vicenda, mettendosi d’accordo sulla spartizione sia delle sfere di influenza, con Dbeibah più forte a Ovest e Haftar che mantiene il controllo a Est, sia sulla spartizione delle risorse: in questa fase internazionale, con i prezzi di gas e petrolio che garantiscono maggiori introiti, è meglio dividersi la torta piuttosto che darsi fastidio cercando tutti e due di averla per intero.
Ma qual è il ver motivo del contendere?
Haftar controlla i pozzi di petrolio, Dbeibah controlla, invece, la cassaforte dove vengono custoditi i proventi del petrolio. Il ricavato della vendita dell’oro nero, infatti, va alla Noc, la compagnia petrolifera libica, che a sua volta lo gira alla Banca centrale libica con sede a Tripoli, controllata dal Governo di Dbeibah. Il petrolio viene estratto nei pozzi per la maggior parte nel territorio di Haftar, ma i proventi vanno poi a Tripoli.
Allora conviene per forza a tutti e due collaborare, giusto?
Quando si fanno la guerra o Dbeibah chiude la cassaforte o Haftar chiude i pozzi. Se fanno un accordo Haftar tiene aperti i pozzi e Dbeibah la cassaforte.
Si parla già di trattative ufficiose tra le parti sostenute da Egitto, Emirati Arabi Uniti e Usa. È così?
Alle spalle di Dbeibah e Haftar tutti gli sponsor internazionali sono favorevoli a una stabilizzazione del quadro libico. Con un Occidente molto impegnato in Ucraina avere due Paesi come questi in una situazione instabile non è conveniente. Lo stesso discorso vale per gli Stati del Golfo. Non è un caso che mentre in Libia i due principali contendenti si stringono la mano, in Siria Assad venga reinserito nella Lega araba.
Quindi in questo contesto Libia e Siria fanno parte di uno stesso progetto?
Esatto; sia l’Occidente che i Paesi arabi vogliono la stabilizzazione dei due Paesi.
Ma le due parti in Libia, quella che fa capo a Dbeibah e quella di Haftar, da chi sono sostenute?
Dbeibah è sostenuto principalmente dalla Turchia, ma anche dagli Usa, dall’Italia, dall’Unione Europea: è il governo internazionalmente riconosciuto e in qualche modo più vicino alla sfera di influenza occidentale. Haftar, invece, è sostenuto dagli Emirati e dall’Egitto. Su questo versante anche la Russia esercita un’influenza, ma questo merita un discorso a parte: il sostegno russo riguarda, infatti, i mercenari della Wagner, ma se il quadro libico dovesse stabilizzarsi Haftar non avrebbe più bisogno di loro. È possibile che il lavoro dell’Occidente, degli Usa in primis, per riappacificare la Libia sia rivolto anche un po’ a isolare la Russia, se non addirittura a estrometterla.
È un caso che tutto questo succeda non molto dopo la visita di Haftar a Roma e all’incontro con il presidente del Consiglio Giorgia Meloni?
Non è un caso. Anche l’Italia sta avendo un suo ruolo. Il nostro Governo riconosce e appoggia Dbeibah, ma il fatto che Haftar sia venuto a Roma senza proteste da parte del suo rivale indica che l’Italia sta avendo un ruolo importante nella mediazione. È interesse di Roma stabilizzare la Libia perché da lì arrivano il gas, il petrolio e anche i migranti.
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