L’ultimo decreto-legge sull’emergenza sanitaria, il n. 33 del 2020, segna una svolta. Non solo è stata prescritta la fine del lockdown, ma soprattutto è stata ribaltata l’impostazione centralista sinora seguita. Infatti, in tutte le “attività economiche, produttive e sociali” il riavvio dell’Italia avverrà non secondo disposizioni stabilite a livello centrale, ma secondo “protocolli o linee guida (…) adottati dalle Regioni o dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali”.



Più precisamente, se si avessero ancora dei dubbi, si chiarisce che, solo “in assenza di quelli regionali, trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale”. Sicché nel Dpcm, poi adottato in attuazione del decreto-legge, sono state richiamate espressamente, ed anzi allegate, le linee guida già decise dalla Conferenza delle Regioni e Province autonome. Tali linee guida saranno subordinate soltanto alle raccomandazioni generalissime di carattere sanitario già stabilite dal Comitato tecnico-scientifico.



Certo, la fase che si apre adesso e che durerà almeno sino al 14 giugno, sarà sempre caratterizzata da una catena di atti di difficile lettura e di ancor più complessa attuazione. La catena rappresentata dal decreto-legge, dall’ultimo Dpcm e relativi allegati, dalle guide linee regionali per così dire “unitarie”, e dalle successive ordinanze regionali, non appare idonea a semplificare la vita dei cittadini, già sottoposti all’emergenza sanitaria e alle sofferenze e ai sacrifici che ne sono derivati. In questa normativa assai farraginosa, e a nostro avviso sempre troppo minuziosa e non priva di pericolose ambiguità, il segnale offerto dalle linee guida elaborate dalla Conferenza delle Regioni è un fattore rilevante di chiarezza e di unitarietà, che consente di dare una prospettiva di sistema al nostro più immediato futuro.



Questa innovazione è la conseguenza di una lunga e convulsa trattativa in cui alla logica solipsistica dei precedenti Dpcm adottati dal Governo in solitaria, si è contrapposto il principio di leale collaborazione che, sostenuto dal fronte regionale, ha poi prevalso. L’esecutivo si è trovato isolato e forse anche privo della copertura del Quirinale. Nell’ora davvero decisiva, insomma, l’esecutivo ha dovuto rivedere la strategia. Perché ormai deprivato di efficaci collegamenti con le forze vive delle società, sfibrato da pericolosi contenziosi interni ed esterni, e sempre più criticato per l’inefficacia e la caoticità dei provvedimenti assunti.

Anche le opinioni e i pareri dei vari organismi tecnici nazionali, così come delle tante task-force e cabine di regie create dall’esecutivo, hanno aggiunto confusione a confusione. A partire dai possibili effetti dirompenti della questione relativa all’assicurazione sul lavoro: da una specifica problematica di assicurazione sociale, ne è derivata un’interpretazione capace, in potenza, di bloccare ogni attività, pubblica e privata! In definitiva, la visione totalizzante del potere emergenziale ha fatto venir meno anche la consapevolezza della ripartizione dei compiti e delle funzioni tra le diverse amministrazioni dello Stato.

Il Presidente del Consiglio, nella conferenza stampa di sabato sera, ha dichiarato che le istituzioni territoriali dovranno assumersi, pro quota, le loro responsabilità nella riapertura. Può aggiungersi che la primaria responsabilità della riapertura è stata già assunta, direttamente ed apertamente, dalle Regioni e proprio su di esse, nei fatti, tale responsabilità graverà in seguito. Innanzi al mutare della situazione, le Regioni hanno indicato la necessità di anticipare i tempi della riapertura, hanno avviato il dialogo fattivo con i soggetti dell’economia e della produzione, e hanno proceduto alla stesura anticipata delle rispettive linee-guida, sino a farne un documento tra loro comune. L’intento di riaprire in modo non discriminatorio, soprattutto, ha fatto venir meno le principali divisioni tra Nord e Sud, tra i diversi territori e le rispettive istanze. 

Soprattutto, come avevamo auspicato su queste pagine, il metodo vincente è stato quello di applicare la Costituzione, non quello di derogarla o di sospenderla. Le Regioni, infatti, sono ricorse proprio ad uno strumento previsto dalla Costituzione: l’intesa tra le Regioni, stavolta addirittura tra un largo schieramento di Regioni e Province autonome, così come consentito dall’art. 117 Cost. Davanti all’intesa raggiunta al loro interno dalle autonomie territoriali, era nei fatti il tramonto di quel potere di regolazione restrittiva che l’esecutivo aveva preteso di assumere – e di esercitare in modo esclusivo – nella fase più acuta della crisi.

Questo dimostra che, anche nei frangenti più difficili, la nostra Repubblica può trovare forza rinnovata, anzi inaspettata, quando tutte le istituzioni rinunciano all’esercizio del potere in solitudine, ma concordano nel riannodare i fili della democrazia, attivando proficuamente i canali della sussidiarietà. Per ricucire i rapporti sociali e per trovare risposte condivise per il bene comune. Per esercitare la rappresentanza politica in modo davvero responsabile e corresponsabile. 

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