Tachipirina e vigile attesa, se ne ritorna a parlare. Il dibattito è acceso soprattutto sui social con tanto di Tachipirina in trend. La vicenda affonda le radici in due casi che alimentano le solite teorie del complotto che periodicamente riaffiorano attorno alla pandemia Covid. Il primo chiama in causa Massimo Mazzucco, che su Byoblu ha realizzato un approfondimento sulle “cure proibite” spiegando che «le cure per il covid esistono, il nostro governo non ha mai voluto adottarle perché le case farmaceutiche non le vogliono, altrimenti il sogno di vaccinare tutto il mondo svanisce nel nulla». C’è poi un’altra questione, quella del ricorso sul protocollo per le cure a casa. Il ministero della Salute, guidato da Roberto Speranza, e l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato contro l’ordinanza con cui il Tar della Lazio aveva stabilito che i medici nel trattamento dei pazienti positivi al coronavirus potessero prescrivere i farmaci che ritengono più opportuni. Da qui si è arrivati a parlare di ripristino del “protocollo di Tachipirina e vigile attesa”.



TACHIPIRINA E VIGILE ATTESA, FACCIAMO CHIAREZZA

Ma il protocollo non è mai stato solo caratterizzato da Tachipirina e vigile attesa. Basta andarsi a leggere le linee guida Aifa (che sono state aggiornate) e Oms per rendersi conto che sin dall’aprile 2020 erano previste altre indicazioni. Così come era premessa l’autonomia dei medici nella prescrizione della terapia ritenuta più opportuna. Nel protocollo si fa riferimento ad antinfiammatori non steroidei (FANS), eparine, antibiotici e cortisonici. Gli unici dubbi riguardavano l’idrossiclorochina, perché gli studi condotti non ne hanno dimostrato l’efficacia. L’idea che la vigile attesa consista nell’abbandonare il paziente al suo destino per attivarsi solo quando è necessario il ricovero non ha alcun fondamento. La vigile attesa, infatti, consiste nel monitoraggio quotidiano, anche tramite approccio telefonico, soprattutto nei pazienti con sintomi lievi, visto che poi il 10-15% dei casi lievi progredisce in forme severe. Lo precisa anche FNOMCeO (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri).

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