Il Parlamento italiano si sta finalmente attivando per dare risposta all’ordinanza 207 della Corte costituzionale che chiede di intervenire con la dovuta chiarezza in merito ad uno degli articoli attualmente più controversi del nostro codice penale: quello che riguarda il suicidio assistito e che molti vorrebbero vedere del tutto depenalizzato, in modo da poter assolvere con tutti gli onori Marco Cappato.
Finora il parlamento italiano ha opposto un’evidente resistenza passiva davanti al rischio che una nuova norma, ad integrazione della brutta legge 219 sul testamento biologico, potesse significare il definitivo sdoganamento dell’eutanasia anche in Italia, come di fatto è ormai accaduto in moltissimi paesi europei. La vicenda di Vincent Lambert è ancora drammaticamente viva in tutti coloro che ne hanno seguito l’iter in questi ultimi anni.
Eppure se non fosse per l’iniziativa recentemente presa da oltre 35 associazioni di ispirazione cattolica, il tema dell’eutanasia, che in altri tempi ha spaccato l’opinione pubblica, sembrerebbe non fare più presa sul cuore e sulla mente degli italiani. Distratta e sopraffatta dalle preoccupazioni economiche, l’Italia sembra voler girare la testa dall’altra parte.
Ma non è così e il recente caso di Tafida Raqeed, una bambina di 5 anni in coma per la rottura di un vaso cerebrale, sta ridestando le coscienza e sta mobilitando ancora una volta l’opinione pubblica.
La bambina apre e muove gli occhi, le sue gambe e le sue braccia si muovono autonomamente e rispondono a sollecitazioni esterne. I medici l’hanno dichiarata cerebralmente viva. Eppure in Gran Bretagna il Sistema sanitario nazionale non vuole farsene carico: troppo grave la situazione organica, troppo cari i trattamenti a cui dovrebbe essere sottoposta. Per loro non ne vale la pena e ancora una volta nel civilissimo Regno Unito il caso di un bambino solleva una sorta di pena di morte che colpisce gli innocenti di cui una società non vuole più farsi carico.
È trascorso appena un anno dalla morte di due bambini inglesi: Charlie Gard o Alfie Evans, che hanno scosso le nostre coscienze, ponendoci davanti ad una alternativa che ancora oggi ci appare disumana. Da un lato l’amore dei genitori che chiedono solo di potersi prendere cura dei figli e dall’altro un sistema giuridico-sanitario che nella sua apparente efficienza appare asettico e crudele. Qualcosa di analogo si sta riproponendo con il caso della piccola Tafida Raqeeb, 5 anni, figlia di una coppia di inglesi di origine bengalese, alla quale i medici del Royal London Hospital hanno deciso di sospendere la respirazione artificiale, con cui è attualmente tenuta in vita, nonostante i segnali con cui la bambina reagisce agli stimoli.
Tafida presenta una rara malformazione artero-venosa (Mav) che ha provocato un’emorragia cerebrale, causa dell’attuale stato di coma in cui versa la bimba. Secondo i medici inglesi non c’è nessuna speranza che la bambina possa recuperare le funzioni necessarie per vivere una vita autonoma, per cui sarebbe opportuno porre fine alla sua giovane esistenza. Secondo loro allo stato attuale delle cose la bambina è destinata ad essere un peso per i suoi genitori e per la società. I suoi genitori però non si sono rassegnati e hanno deciso di rivolgersi al tribunale perché la figlia possa continuare a vivere.
Ma neppure i magistrati si sono mostrati disponibili a farsi carico dell’amore e del dolore dei genitori. Hanno chiuso le porte a qualunque forma di speranza, facendo un ragionamento molto semplice, dettato da una logica tecnico-economica: costa troppo e non ci sono garanzie di successo, quindi non vale la pena. Ed è proprio così che si genera e si alimenta la cultura dello scarto tanto spesso stigmatizzata da Papa Francesco. Ma ancora una volta l’Italia risponde generosamente al dramma umano dei genitori, e l’Ospedale Gaslini di Genova e il presidente della Regione Toti si sono offerti di prendersi cura di Tafida e della sua famiglia.
Ma non è solo la pietà umana a muovere i medici del Gaslini; c’è anche la profonda convinzione di poter fare di più proprio in un’ottica scientifica, che tenga conto anche dei segni positivi con cui la piccola reagisce agli stimoli. I medici del Gaslini infatti, circa un mese fa, erano stati sollecitati dai genitori a fare una valutazione dello stato della bambina. E avevano risposto ai colleghi di Londra con un documento che, pur confermando l’estrema gravità delle condizioni cliniche della piccola, apriva la porta ad una flebile speranza. Nello stesso tempo però sottolineavano come in Italia non si potessero sospendere le cure, inclusa la nutrizione e l’idratazione, se non in caso di “morte cerebrale”; quadro diverso da quello presentato da Tafida. I genitori allora hanno chiesto ai medici del Gaslini se fossero disponibili ad accogliere la figlia, dichiarandosi pronti a sostenere tutte le spese, comprese quelle del trasporto in condizioni di massima sicurezza. Ma in modo del tutto incomprensibile il Royal London Hospital ha opposto una forte resistenza, facendo fallire ogni mediazione possibile.
Il caso della piccola Tafida rivela in tutta la sua drammaticità a cosa potrebbe portare in Italia l’abolizione dell’articolo 580 del codice penale, per altro in questo caso con l’aggravante che la sua morte avverrebbe contro il parere dei genitori, naturali tutori della figlia per diritto naturale. Anche se la gravità della condizione di Tafida escludesse la prospettiva della guarigione, potremmo dedurre che ha comunque bisogno di cure palliative; di un percorso di accompagnamento aperto alla speranza e non certo di un drastico intervento che ne anticipi la morte, senza alcun rispetto né della sua volontà né di quella dei suoi genitori, affidata semplicemente ad un anonimo protocollo, che stabilisce cosa si deve fare prima e come bisogna farlo, trattando la persona umana come un oggetto da avviare alla rottamazione.
La cultura e la tradizione medica, giuridica e politica italiana finora si sono sempre schierate dalla parte del malato, per guarirlo quando possibile, per curarlo sempre. Includendo nel processo di cura anche la famiglia, consapevoli che l’amore crea vincoli fortissimi, che comportano l’onere e l’onore della condivisione della sofferenza: quando in una famiglia qualcuno sta male, tutta la famiglia soffre e proprio per questo si prodiga per alleggerire la sofferenza degli altri. Abbiamo bisogno in Italia e in Europa di una normativa esplicitamente schierata dalla parte degli ultimi, dei malati, dei disabili, degli anziani, contro ogni possibile discriminazione, compresa quella che distingue tra sani e malati, tra persone autonome e persone che non lo sono.
Se non cogliamo la sottile provocazione della cultura della morte che si va diffondendo con un falso senso di pietà, scivoleremo in quella che Papa Francesco ha chiamato l’eresia dell’amore, stravolgendo anche il significato dell’amore. Ti uccido, ti tolgo la vita perché ti amo e non voglio vederti soffrire. Oppure a livello di Sistema sanitario nazionale: ti lascio morire, facilito gli interventi che anticipano la tua morte per non farti soffrire e risparmiare risorse da investire nella cura di altri che potrebbero essere autonomi e produttivi, mentre tu non potrai più contribuire al Pil nazionale. È la lezione di Tafida e la sua provocazione al nostro Parlamento perché legiferi presto e bene.