L’Accordo Ue tra i capi di stato e di governo sulla riduzione del 55% (rispetto al 1990) delle emissioni di CO2 entro il 2030, per arrivare poi nel 2050 alla neutralità carbonica, rappresenta un momento importante. È vero che è stato raggiunto all’ultimo Consiglio europeo possibile e solo alla vigilia del quinto anniversario degli Accordi di Parigi e il giorno prima che si svolgesse un vertice delle Nazioni Unite dal titolo “Climate Ambition”, però il fatto stesso che sia stato siglato è significativo, perché qualcosa si è rimesso in moto per la lotta ai cambiamenti climatici.



Proprio perché sono passati 5 anni dagli Accordi di Parigi, occorre ricordare che finora non si erano fatti molti passi avanti e quanto stabilito è rimasto perlopiù sulla carta, le emissioni di CO2 sono continuate a crescere, gli Usa sono usciti dagli Accordi (dovrebbero rientrare a gennaio con la presidenza Biden), vi è stato il fallimento della Cop25 di Madrid, dove Paesi importanti come l’Australia, il Brasile e l’Arabia Saudita, si sono dichiarati contrari a determinare limiti alle emissioni e hanno anche disertato il vertice Onu insieme agli Usa.



L’accordo di Bruxelles, pur riguardando solo l’Unione europea, rimette in moto un percorso che sembrava inceppato. Al vertice Onu la Cina si è impegnata alla neutralità carbonica entro il 2060 e comunque a tagliare le emissioni di CO2 del 65% entro il 2030 (rispetto al 2003) e se a gennaio gli Usa rientrano nel sistema degli Accordi di Parigi, forse si può sperare che gli obiettivi siano più realistici di quanto possiamo pensare, visto che Europa, Cina e Usa rappresentano il 50% delle emissioni e che il loro traino potrà essere da esempio a tutti i paesi del G20, che complessivamente fanno l’80% delle emissioni.



In questo percorso per la lotta ai cambiamenti climatici non va dimenticato che la prossima Cop26, si terrà a novembre 2021 a Glasgow, sarà presieduta dal Regno Unito e dall’Italia, la quale organizzerà tra settembre e ottobre la pre Cop a Milano, e i singoli Stati dovranno presentare i propri impegni per la riduzione delle emissioni. In sintesi, da oggi alla prossima Cop26 occorre far sì che ciascun Paese definisca i propri obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 insieme a misure concrete e a investimenti certi, a cominciare per noi dall’Italia.

Questa lunga premessa serve per contestualizzare il buon accordo di Bruxelles, che per i movimenti ambientalisti rappresenta un accordo al ribasso (chiedevano almeno il 65%) e il Parlamento europeo (che comunque lo dovrà approvare) chiedeva il 60%. Invece il sindacato europeo riteneva il 55% un buon compromesso, perché saremo di fronte a una massiccia riqualificazione della manodopera e perché impegna tutti i Paesi, compresa la Polonia che è quella più dipendente dal carbone e la più riluttante ad accettare limiti.

Definito il limite delle emissioni e acquisito l’impegno dei singoli Paesi, occorre ora decidere investimenti e risorse, oltre che fare un piano temporale che permetta di rispettare la scadenza del 2030.

Per il sindacato la lotta al cambiamento climatico è una questione trasversale e va riferita a tanti ambiti di attività: dalla decarbonizzazione dei processi produttivi (si veda l’ex Ilva e molte altre imprese energivore) all’economia circolare (dove il tema del ciclo dei rifiuti e del gap impiantistico ci trasciniamo da anni), dal dissesto idrogeologico (con le numerose opere che occorrerebbero per la messa in sicurezza del territorio) alla transizione energetica (si veda la chiusura delle centrali a carbone, la difficoltà nel costruire impianti eolici o solari e la necessaria revisione dl Piano nazionale integrato energia clima), dalla trasformazione dei Sad (Sussidi ambientalmente dannosi) in Saf (Sussidi ambientalmente favorevoli) all’adeguamento degli edifici (con il superbonus del 110%), fino ad arrivare all’ultima strategia per l’idrogeno.

Dal Governo Conte ci aspettiamo una serie di interventi, per modernizzare la nostra economia nel rispetto dei vincoli ambientali, per i quali vi è bisogno oltre che di moltissime risorse in particolare di un approccio sistemico che metta insieme in breve tempo i molti soggetti coinvolti, pubblici e privati e permetta di realizzare in tempi certi i necessari interventi.

Le risorse del Next Generation Eu, di cui il 37% è vincolato a obiettivi di miglioramento ambientali e comunque il resto non può finanziare iniziative che possano nuocere all’ambiente, sono un grandissimo stimolo, ma non possiamo illuderci che siano la panacea di tutti i mali e possano sopperire a tutti i bisogni. Tuttavia partendo da esse molto si può fare in particolare se riusciremo a garantire i necessari livelli di qualità della spesa e nella realizzazione dei progetti.

Si ripropone la solita questione italiana, dove spesso il problema non è la quantità delle risorse, ma la qualità dei processi e delle iniziative, la cui mancanza inficia qualsiasi risultato.