Il Governo italiano ha deciso di tagliare il canone Rai dagli attuali 90 euro all’anno a 70 euro. La tassa non è mai stata particolarmente amata; negli ultimi dieci anni l’antipatia ha avuto almeno due accelerazioni. La prima è arrivata nel 2016 quando il contributo è stato inserito in bolletta; la seconda negli ultimi due anni quando la bolletta, che prima veniva a malapena letta, ha conquistato le prime pagine dei giornali e la classifica di osservato speciale nei conti delle famiglie. La rivoluzione del 2016, collegando il pagamento all’utenza dell’elettricità, ha fatto assomigliare l’imposta a una mini patrimoniale da cui è molto difficile scappare.
Finita l’era del duopolio televisivo “Rai-Mediaset” e iniziata quella dei servizi in streaming a pagamento (Netflix, Disney, Prime video, ecc.), di Youtube e dei social media è aumentata la quota di persone che può legittimamente sostenere di non guardare la televisione pubblica o di farlo in misura estremamente contenuta al punto di potere valutare, di fronte all’obbligo di pagamento, la rinuncia al servizio. Oltretutto è tecnicamente possibile, lo dimostrano i servizi in streaming e la tv “premium”, collegare la fruizione del servizio al pagamento in modo molto meno drastico.
Il nuovo canone, dopo l’inserimento in bolletta, è in qualche modo il precursore di un numero via via crescente di imposte, dirette o indirette, più o meno mascherate che negli ultimi anni ha preso sempre più piede. La tassa sulla CO2, in nome del green, le tasse per entrare e uscire dai centri cittadini, mascherate dall’obbligo di acquisto di un’auto nuova, le tasse sul possesso della casa, a meno di raggiungere una certa classe energetica, le tasse sui “grandi patrimoni” e l’eredità, la tassa sul possesso del cellulare. Tutte tasse impossibili da evadere, che hanno una relazione tra finalità dichiarata e meccanismo di imposizione labile e che per questo alimentano la spesa pubblica senza che sia possibile un controllo vero.
Il rischio è che si crei un meccanismo perverso che fa fluire risorse dalle famiglie verso alto senza alcun criterio; i Governi si ritrovano con un flusso di risorse a prova di qualsiasi recessione, di qualsiasi crisi economica famigliare e senza alcun obbligo sostanziale di analisi “costi-benefici”. Questo meccanismo trova il fondamento nel modo coercitivo con cui imporre la tassa.
La riduzione dell’importo del canone inserito in bolletta ha il merito di mettere un freno a una china pericolosa che toglie qualsiasi vincolo a chi riceve la tassa; incluso quello eventualmente imposto da una crisi economica.
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