Abbiamo appena messo da parte la legislazione straordinaria con cui si è combattuto contro il diffondersi della pandemia e subiamo i primi impatti che l’aggressione russa all’Ucraina determina sull’economia mondiale. Il nostro Paese aveva risposto meglio di quanto prevedibile alla ripresa degli scambi dopo il lockdown. La crescita della produzione e dell’occupazione facevano sperare in un impatto degli investimenti previsti dal Pnrr maggiore delle aspettative iniziali. La guerra iniziata dalla Russia ha subito portato a un aumento dei prezzi dovuto al costo dell’energia e produrrà ulteriori impatti sugli scambi internazionali.



Il clima di aspettative negative e il diffondersi di timori per un ulteriore peggioramento rischiano di frenare la spinta che aveva portato a definire un pacchetto di riforme e investimenti con l’obiettivo di mutare alcune delle difficoltà strutturali che bloccavano lo sviluppo della nostra economia. Spinte centrifughe di alcune forze politiche rischiano per il momento di rallentare le scelte del Governo, ma non paiono in grado di bloccare le iniziative di riforma. 



Per chi ha vissuto periodi di crisi economica e sociale altrettanto profonde come l’attuale appare assolutamente anomala la scomparsa di una spinta unitaria per cercare soluzioni comuni. Certo dobbiamo ringraziare la manovra parlamentare che ha portato alla nascita del Governo Draghi mettendo fine alla stagione del populismo governativo. Una maggioranza che accetta di smussare le tensioni e che ha permesso di avviare le scelte del Pnrr, ma che resta una pura ipotesi temporanea. Fra dibattito sulla riforma elettorale e scelte di alleanze fra le diverse forze politiche si vedrà chi riuscirà a interpretare anche per il futuro il ruolo di traino per una politica nazionale in grado di assicurare il percorso di riforme e investimenti programmato.



Nonostante i colpi portati dal bipopulismo alle rappresentanze sociali, nonostante la spinta alla disintermediazione e i colpi portati alle rappresentanze della società, la democrazia è più forte se la spinta unitaria parte da un protagonismo dei corpi sociali. Il lavoro fatto dal Terzo settore in questi duri mesi di lockdown non ha bisogno di ulteriori lodi. Utile sarebbe però che lo stesso spirito animasse l’elaborazione programmatica delle rappresentanze economiche.

Purtroppo però la divisione strategica e la differenza di posizioni che già caratterizzavano le posizioni delle forze sindacali si sono accentuate. A una lettura della situazione del lavoro molto ideologica e che guarda al prodursi di nuove diseguaglianze con la lettura del periodo industriale corrisponde una volontà meramente rivendicativa. Quella parte di sindacato che è invece abituata ad affrontare i cambiamenti con la disponibilità a trattare sempre soluzioni condivise resta schiacciata fra contrapposizioni che non accettano di scendere sul terreno della responsabilità comune.

Va detto che in questo periodo anche le posizioni confindustriali non aiutano a cambiare il quadro generale. Se consideriamo le ultime dichiarazioni venute dalla presidenza degli industriali si possono individuare posizioni anche corrette, ma sempre avanzate come rivendicative e di attacco verso le scelte complessive del Governo. La decisione dell’esecutivo di concedere un bonus di 200 euro per le famiglie più povere a sostegno dei maggiori costi dell’energia può prestarsi a considerazioni critiche. 

La scelta fatta prosegue in una linea di bonus mirati e concessioni di contributi economici che spesso si presta a determinare distorsioni sul mercato dei beni e del lavoro. Quando è possibile operare scelte diverse, di tipo strutturale, invece che distribuire moneta è sicuramente meglio. Introdurre riforme o cambiamenti che servono a rispondere alla crisi corrente ma cambiano anche la struttura dei servizi coinvolti è quello che vorremmo tutti. Fosse possibile avere una bacchetta magica per realizzare tutti quegli impianti energetici che la demagogia e la burocrazia hanno bloccato in questi anni, avremmo messo fine alla dipendenza dall’estero e non subiremmo questi aumenti di costo. Prendere atto che ciò non è fattibile e che servono altri interventi di impatto immediato è accettare la sfida di governare la realtà e non solo recriminare una difesa dei propri interessi corporativi.

La proposta che però viene avanzata in alternativa ai bonus è altrettanto campata in aria. Dire che sarebbe meglio operare attraverso il taglio del cuneo fiscale è buttare la palla in fallo laterale. Questa proposta, assolutamente giusta in sé, rischia di essere come l’araba fenice. La si butta sul tavolo delle trattative in quasi tutti i casi, ma può diventare concreta se entra nell’ambito di una riforma fiscale complessiva.

Ma più che le singole proposte resta l’atteggiamento di continua rivendicazione. La situazione economica e sociale generale richiede un’assunzione di responsabilità collettiva e un’elaborazione capace di mettere al centro delle proposte avanzate dalle parti sociali accordi capaci di rimettere in moto la crescita della produttività.

I settori industriali hanno rivisto per la stragrande maggioranza i contratti. La reale precarietà è quella della Pa e deriva dall’incertezza dei concorsi e dal ritardo con cui si affrontano i rinnovi contrattuali. L’abuso di contratti fittizi e talvolta senza tutele lavorative si concentra nei lavori agricoli, ma pesa anche troppo nel settore dei servizi. Qui oltre a essere causa di forti diseguaglianze sociali è fonte di un ritardo di produttività che è pagato da tutto il sistema economico. 

Partire da queste evidenze porterebbe ad accantonare rivendicazionismi e preclusioni ideologiche per rimettere al centro il bene comune e proporre a tutti i corpi intermedi un patto per lo sviluppo del Paese con al centro la valorizzazione di tutte le risorse sociali.

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