“Le occasioni fanno le rivoluzioni”, diceva più di un secolo fa il celebre scrittore brasiliano Machado de Assis. Venendo ai giorni nostri, il Paese è in crisi non solo economica – il Presidente Istat Giancarlo Blangiardo ha parlato di “stagnazione” -, ma anche istituzionale: ieri il Primo Ministro Giuseppe Conte, dopo essere intervenuto al Senato, ha formalizzato le sue dimissioni al Presidente della Repubblica. Si aprono così le consultazioni per verificare se è possibile la costituzione di un nuovo Governo.
“Per fare cosa?”, si chiedono in molti. Al di là del fatto che non si va a votare semplicemente perché lo chiede un capo politico, vedremo quali saranno le decisioni del Colle. È difficile immaginare che Mattarella propenda per elezioni subito, la sensibilità del Presidente dovrebbe invece suggerirci che farà del suo meglio per dar vita a un esecutivo che quantomeno sia solido per affrontare per affrontare l’impegnativa manovra finanziaria che è alle porte.
Vi è l’aumento dell’Iva da evitare, ma è auspicabile che la manovra in questione non sia soltanto difensiva, che non si limiti cioè a far quadrare i conti gravando sulle tasche degli italiani in ragione dei vincoli di bilancio. Naturalmente, l’impostazione che la finanziaria avrà dipenderà da come si risolverà l’attuale crisi di governo, a quale sostegno parlamentare giungerà. Vi sono tuttavia alcuni fattori che fanno pensare che uno dei nodi della futura manovra possa essere il taglio del cuneo fiscale.
Come abbiamo più volte ricordato, in Italia vi è una questione salariale che difficilmente può continuare a essere ignorata. Quando si dice che “da 25 anni i salari sono fermi al palo dell’inflazione” naturalmente si allude a valori mediani, vi sono spazi in cui la ricchezza viene virtuosamente prodotta e distribuita, ma, appunto, sono spazi dell’impresa più dinamica e organizzata (tendenzialmente, la medio-grande). La realtà dei valori mediani ci dice che tra il 2000 e il 2017 i salari in Italia sono aumentati dieci volte meno che in Francia e Germania (si vedano rapporti Censis e Fondazione Di Vittorio 2018). Parallelamente, il cuneo fiscale italiano è il terzo più alto tra i 34 paesi dell’area Ocse, dopo il Belgio (52,4%) e la Germania (49,5%), dove però i salari sono più alti del 30%.
Imprese e sindacati da soli hanno qualche difficoltà a dare risposte al problema. Certo, qualcosa a livello di modello contrattuale andrebbe rivisto: regole e prassi vigenti non agevolano la distribuzione della ricchezza laddove, appunto, non vi sono accordi aziendali. E nemmeno, nonostante gli incentivi degli ultimi anni, si registra una spinta tale della contrattazione decentrata da far pensare che questa possa essere la soluzione al problema.
Non è un caso che sia Carlo Bonomi – che guida la vivace Assolombarda, cuore dell’Associazione degli Industriali -, sia lo stesso Presidente Vincenzo Boccia – che proprio oggi, insieme alla Segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan sarà al Meeting di Rimini – hanno insistito negli ultimi tempi sul taglio del cuneo fiscale tutto a vantaggio dei lavoratori. In primis, la Confindustria vuole mantenere l’impianto per cui “la ricchezza si distribuisce laddove prodotta”, in secondo luogo vi è la consapevolezza diffusa che è ora di fare qualcosa di sostanzioso per i lavoratori. Il taglio del cuneo fiscale così ipotizzato significa naturalmente dare risposte alla questione salariale. Il fatto che ne parlino anche i sindacati fa un po’ meno notizia, ma fa comunque capire che è un intento condiviso, anche da un’ampia maggioranza parlamentare (soprattutto M5S e Pd); e la cosa non è irrilevante.
L’Europa potrebbe essere benevola di fronte a un’operazione di questo genere per varie ragioni: 1) crescita salariale significa, anche, crescita dei consumi, quindi fattore positivo per il sistema e per il rapporto debito/Pil; 2) La Commissione europea ha bisogno di rafforzare il suo rapporto con l’Italia proprio in chiave anti-sovranista; 3) la stessa operazione è stata già condotta in Spagna con buoni risultati nel 2014 permettendo all’economia – proprio in ragione del più forte potere d’acquisto – di raggiungere le migliori performance di crescita in Europa.
Se non una rivoluzione, certamente un passaggio importante e un’occasione di rilancio per politica e parti sociali. Tutti contenti quindi? Salvini, a dire il vero, voleva la flat tax. Ma è alquanto improbabile che sia lui a mettere becco in questa manovra.
Twitter: @sabella_thinkin