La Fondazione Einaudi ha annunciato il raggiungimento del quorum necessario per il referendum sul taglio dei parlamentari. Una riforma che era scivolata fuori dai riflettori, in questi ultimi tempi occupati dallo scontro sul Fondo salva-Stati e sulla legge di Bilancio, ma che adesso tornerà al centro e condizionerà (non da sola) tutta l’agenda politica. Ne abbiamo parlato con Stelio Mangiameli, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo.



Professore, ci dica innanzitutto se per lei val la pena ridurli, i parlamentari, a quali condizioni e perché.

Partiamo dalla considerazione che il M5s, prima in coalizione con la Lega e ora con il Pd e le altre componenti di centrosinistra, ha inteso legare la legislatura al tema della riforma del Parlamento. Il taglio dei parlamentari è un tassello cui si legano la riforma dell’elettorato attivo del Senato, l’introduzione del referendum propositivo e ovviamente la riforma della legge elettorale.



Veniamo alla riduzione dei parlamentari.

Deriva da una lunga polemica sul Parlamento italiano accusato di essere il più pletorico Parlamento europeo. Si tratta di una verità parziale. In realtà l’Italia ha un parlamento simile a quello francese; inoltre, la Camera dei deputati ha la stessa consistenza dell’Assemblea nazionale e del Bundestag. Il problema nasce dal confronto del Senato italiano con quello francese, che ha una composizione un po’ più ridotta, e con il Bundesrat tedesco che ha solo una settantina di componenti.

E sono paragoni pertinenti?

No, perché il Senato francese ha una composizione peculiare rappresentativa delle comunità territoriali e il Bundesrat è espressione dei governi regionali, ubbidendo a una logica tipica del federalismo tedesco. Il nostro Senato è espressione del bicameralismo perfetto e risponde alla logica della Camera di riflessione. Ciò detto, la riduzione del numero dei componenti delle Camere potrebbe non rappresentare un problema.



Per quale motivo?

Perché sono ormai passate le ragioni storiche che in seno all’Assemblea costituente portarono alla scelta di Camere ampiamente rappresentative. Una scelta legata all’intento di radicare la democrazia dopo la dittatura fascista. L’unico profilo che desta qualche perplessità deriva dal sistema dei partiti che entra all’interno delle Camere.

In trent’anni è cambiato tutto.

È così. Un tempo i partiti erano strettamente collegati alla società e alle sue componenti, mentre oggi sono autoreferenziali e preferiscono, ai collegamenti con i corpi sociali, quelli con i poteri forti.

E quindi?

In queste condizioni una riduzione del numero appare funzionale ad un più rigido controllo sui gruppi parlamentari da parte dei leader politici, riducendo al minimo i legami tra la rappresentanza e l’elettorato. È quello che possiamo definire un effetto di rarefazione della rappresentanza.

Qual è l’iter del referendum?

Una volta formalizzata la richiesta, su questa si svolgono i controlli della Corte di Cassazione, che ne constata la regolarità o meno. In caso positivo il Presidente della Repubblica lo indice entro 60 giorni dalla comunicazione della Cassazione e il referendum si tiene tra 50 e 70 giorni dall’indizione.

Di quale referendum si tratta?

Il referendum in questo caso interviene nel procedimento di revisione costituzionale e ha un carattere confermativo, senza la previsione di quorum particolari di validità.

Lo si potrebbe ancora evitare?

L’unico modo di evitarlo potrebbe essere una successiva deliberazione costituzionale delle Camere parlamentari, ma è praticamente impossibile per ragioni procedurali.

Con la prospettiva di andare a referendum sul taglio dei parlamentari, che partita si apre sulla riforma della legge elettorale in discussione nella maggioranza?

Se dovesse passare il taglio dei parlamentari, si dovrebbe quanto meno resettare la legge elettorale e riconsiderare essenzialmente la dimensione dei collegi maggioritari.

Il problema però si complica perché sulla legge elettorale sembra pendere anche un’altra richiesta di referendum.

Sì, questa volta abrogativo, per eliminare la parte proporzionale della legge e adottare un sistema maggioritario all’inglese (turno unico e first past the post). In realtà i partiti vorrebbero collegare il taglio dei parlamentari a una riforma della legge elettorale di tipo proporzionale. Tutto dipende allora dal meccanismo elettorale, dall’eventuale soglia di sbarramento e dalle dimensioni delle circoscrizioni. Anche se bisogna dire che con la riduzione dei parlamentari si avrebbe quasi naturalmente una concentrazione dei seggi verso le forze politiche maggiori.

Questa riforma del Parlamento, con i suoi tempi e le sue prospettive, a chi viene incontro politicamente e a chi no?

Finirebbe con il favorire le forze più grandi a discapito di quelle minori. Il M5s l’ha concepita quando aveva il 32% dei consensi e perciò pensava di avvantaggiarsi della riduzione dei parlamentari, anche in ragione del carattere oligarchico del Movimento. Oggi, che il loro consenso è di fatto scemato sotto il 10%, sarebbero penalizzati.

E gli altri?

Lo stesso si può dire per Italia Viva, che non riesce ad avere un gradimento oltre il 6%, e per Forza Italia, al minimo storico. I piccoli del centrosinistra sarebbero distrutti, non a caso invocano già nuovi contenitori elettorali, mentre potrebbe avvantaggiare il Pd, Fratelli d’Italia, ormai stabilmente al di sopra del 10%, e la Lega.

Parliamo di un’eventuale crisi di governo e dello scioglimento delle Camere. Come interagirebbero con il referendum?

Semplice: lo scioglimento delle Camere prima del referendum implicherebbe l’applicazione delle disposizioni costituzionali precedenti, mentre dopo il referendum, se questo conferma la legge costituzionale, bisognerebbe tenere conto delle nuove disposizioni costituzionali.

Tutti gli organi di stampa hanno messo in fila tre scadenze: 12 gennaio, il termine dei tre mesi prescritti dalla Costituzione per chiedere il referendum sul taglio dei parlamentari; il 15 gennaio, data in cui la Consulta dovrebbe pronunciarsi sul referendum leghista per l’abolizione della quota proporzionale del Rosatellum; e il 26 gennaio, date del voto regionale in Emilia e Calabria. È un intreccio pericoloso?

No, è un tipico intreccio italiano e come tale non può essere pericoloso. Ipotizziamo che il 31 dicembre sia presentata la richiesta referendaria sulla legge costituzionale relativa al taglio dei parlamentari. La Cassazione ha 30 giorni per pronunciarsi e comunicare al Presidente della Repubblica che ha 60 giorni per indirlo e può fissarlo al più tardi entro 70 giorni. Si arriva quasi sicuramente a giugno 2020.

E poi?

Si potrebbero abbinare i due referendum: sulla legge costituzionale e sulla legge elettorale. Ma quest’ultimo potrebbe essere scongiurato da una nuova legge elettorale. Le elezioni regionali invece serviranno alle forze di maggioranza per valutare se continuare o meno l’esperienza di governo, tenendo conto che nel 2021 le clausole di salvaguardia varranno circa 43 miliardi di euro. Ed è questo il vero problema.

(Marco Tedesco)