Nell’attuale crisi di governo, il taglio dei parlamentari, cui mancherebbe una sola lettura, è al centro del confronto politico tra le forse che provano di creare una nuova maggioranza. Il tema non interessa solo il bilancio dello Stato, come pensa qualcuno, né tantomeno i “privilegi” dei parlamentari, ma la stessa rappresentanza politica. Con meno parlamentari “occorrerà un numero più alto di voti per essere eletti. Questo influisce sul sistema elettorale e suggerisce di ritornare a un proporzionale puro”, dice al Sussidiario Sabino Cassese, costituzionalista, giudice emerito della Consulta ed ex ministro della Funzione pubblica. Cassese è stato ospite due giorni fa del Meeting di Rimini, dove ha parlato sul tema della democrazia e della sua crisi.



Professore, al Meeting lei ha parlato sul tema “democrazia a una svolta”. Di quale svolta si tratta?

Dei cambiamenti registrati nel mondo e in Italia nell’ultimo triennio: la crisi delle democrazie americana e britannica, l’emergere di democrazie definite illiberali, l’affacciarsi con prepotenza in Italia di forze politiche populiste, la fase finale della crisi dei partiti, l’uso diffuso dei nuovi mezzi di comunicazione.



Anche in Italia la democrazia è a una svolta? Come si declinano i fattori su accennati nel nostro contesto?

Da noi abbiamo avuto il primo governo corporativo-populista d’Europa, che ha messo in ombra le forze tradizionali (Forza Italia e Pd), la polemica contro le élites, la sperimentazione dell’opinione pubblica divisa in due settori incomunicanti: una parte governata da Casaleggio e Morisi, l’altra dai mezzi tradizionali.

Sappiamo tutti che il capo dello Stato, prima di sciogliere le camere, è tenuto a verificare l’esistenza di una maggioranza in Parlamento. È quello che Mattarella sta facendo. In passato però l’equilibrio delle forze politiche variava di pochi punti percentuali, oggi invece c’è un abisso tra consenso nel paese e rappresentanza in Parlamento di alcune forze. Come si affronta questo problema?



Distinguendo. Noi siamo in una repubblica parlamentare. Il popolo elegge il parlamento, il parlamento sceglie (dà la fiducia) il governo, non è il popolo direttamente che sceglie il governo. Poi, la Lega, che si vanta di rappresentare il popolo, rappresenta solo il 18 per cento. Gli aventi diritto al voto sono poco più di 50 milioni, i voti per la Lega meno di 10 milioni. Se il Parlamento è diviso, anche il popolo lo è. Questo non vuol dire che non stiamo nuovamente sperimentando una tensione tra le due concezioni della democrazia, quella secondo cui il popolo sceglie i rappresentanti, ai quali è affidata la scelta del governo, e quella secondo cui il popolo sceglie il governo.

Si parla molto in queste ore di taglio dei parlamentari: è giusto farlo o no?

La giustificazione non riguarda il costo, che è minimo se rapportato alle spese pubbliche, ma la circostanza che da mezzo secolo abbiamo venti legislatori, i consigli regionali. Ma non basta diminuire i parlamentari. Bisogna fare molti altri aggiustamenti. Ad esempio, il Parlamento è integrato da 58 rappresentanti regionali per l’elezione del presidente della Repubblica. Se i parlamentai scendono da poco meno di 1000 a 600, cambiano le proporzioni, e bisogna anche diminuire i rappresentanti delle Regioni. Insomma, non basta diminuire i parlamentari, occorre fare molte altre modificazioni minori.

Dovrebbe cambiare anche la legge elettorale? Come?

La diminuzione del numero dei parlamentari avrà la conseguenza di allontanare i rappresentanti dai rappresentati, gli eletti dagli elettori, perché occorrerà un numero più alto di voti per essere eletti. Questo influisce sul sistema elettorale e suggerisce di ritornare a un proporzionale puro, invece di un proporzionale con una quota di maggioritario, come è la legge Rosato oggi vigente.

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