Chi non vota sceglie la poltrona, ha ammonito Di Maio. Per i 5 Stelle è un obiettivo strategico, per il Pd un prezzo da pagare, e anche la Lega voterà sì, assieme a tutto il vecchio centrodestra. È il giorno fatidico del taglio dei parlamentari, giunto alla quarta lettura. Ma la primogenitura va molto più in là del governo gialloverde e arriva fino ai “politici ladri” degli anni di Tangentopoli, passando per la “casta”, indimenticata bandiera antipolitica che tanto senso comune ha prodotto negli anni novanta e duemila. I parlamentari che corrono a decurtare le proprie file, per una volta senza distinzione di casacca, “ricordano tanto la riforma delle immunità del 1993”, dice Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano. “Siamo al cinismo della disperazione”, all’autoliquidazione di chi non è più classe politica e pertanto non ha più ragione d’essere. Per il costituzionalista non si andrà a referendum e la legge elettorale, sotto lo scacco dei tatticismi incrociati, potrebbe perfino rimanere il Mattarellum.
Oggi si vota. La Lega avrebbe ancora qualche ragione per disertare l’aula? È dura: hanno votato tre volte il ddl, hanno lontane ascendenze manipulitiste.
E soprattutto adesso, dopo aver votato quel testo, sono politicamente imbottigliati. Come si fa a votare contro questa legge dopo aver votato sì tre volte e aver mandato Calderoli a fare da relatore? Per carità, si può fare, ma il problema è come collocare una posizione del momento – voto sì, voto no, esco dall’aula – in una strategia di respiro più lungo. La verità è che la Lega, su questi temi, si è imbottigliata per una anno e mezzo sullo scambio tra autonomia differenziata e riduzione del numero dei parlamentari.
A proposito di autonomia differenziata: per mesi è stata avvolta da una nebbia fittissima. Si farà?
Intanto non se ne vede nemmeno l’ombra. Anzi, il ministro Boccia, che adesso ha in mano la questione, parla di una “legge sulle procedure” da approvare. Non so se serve una traduzione. Per contro, taglio dei parlamentari e legislazione popolare sono a portata di mano. E domani si potrebbe già cambiare l’assetto delle Camere.
Torniamo alla Lega, professore.
Per la Lega uscire dall’aula potrebbe essere l’unico modo per salvare la faccia e mostrare coerenza, se non rispetto al passato, almeno rispetto al presente.
E perché?
Perché si dovrebbe aver capito che il taglio dei parlamentari è, innanzi tutto, un modo per bloccare il funzionamento del sistema elettorale, rendere impossibili elezioni a breve e creare le premesse per un dialogo infinito sulla legge elettorale prossima ventura. Che dovrà essere infinito, perché altrimenti questa situazione di democrazia sospesa, che permette di evitare le elezioni, finisce.
La Lega ha spinto per un referendum che ci riporti ad un maggioritario duro e puro.
E allora dovrebbe essere coerente con quello che ha fatto la settimana scorsa. Invece pare che la Lega voterà sì, assieme a tutto il vecchio centrodestra, per annacquare la situazione. Una posizione difensiva e tattica. La verità è che in una situazione in cui, su questi temi, nessuno ha una strategia nemmeno di medio periodo, è difficile orientarsi e ancor più fare previsioni.
Durante il governo Conte-1 il Pd ha votato no, adesso la riforma è un prezzo da pagare. Un rapporto controverso quello dei Dem con le riforme costituzionali. Come mai?
Il rapporto del Pd con le riforme istituzionali non è diverso da quello di tutte le altre forze politiche. È puro occasionalismo, ragionamento sulle convenienze di breve periodo. Tant’è vero che, tre anni fa, ai tempi del referendum Renzi del 2016, il Pd si è speso in una campagna logorante per il taglio dei parlamentari. Poi, passato all’opposizione, ha rispolverato un parlamentarismo da anni 70 e almeno fino all’estate si è opposto strenuamente ad ogni ipotesi di taglio. Così come, fino all’estate, si è opposto alla riforma del referendum. Adesso che è tornato in maggioranza, al Pd il taglio dei parlamentari va bene, purché ci sia anche una riforma elettorale. Le sembra serio inseguire queste giravolte?
Lei cosa dice?
A me sembra di parlare delle previsioni del tempo. Però, se ci pensa, quella del Pd è una giravolta perfettamente simmetrica a quella della Lega, che prima era a favore ed ora è contro.
Allora a vincere è il Movimento 5 Stelle.
Certo. Il dato veramente incredibile è che i 5 Stelle siano riusciti, in momenti diversi, e per una serie di casi fortunati, a portare prima la Lega e poi il Pd su un progetto tanto inutile e pretestuoso rispetto agli obiettivi dichiarati. Non fosse che questo progetto stasera rischia di essere approvato, con tutte le conseguenze che ne verranno, sarebbe estremamente divertente. E in qualche misura lo è.
Bersani (LeU) non vuol sentire parlare di “risparmi”, ma dice che “mille persone chiuse qua dentro a schiacciare un bottone sono una roba demenziale, che non c’è in nessun parlamento al mondo”.
Sui risparmi ha ragione. Come è demenziale valutare questioni del genere con una logica da partita doppia. Lo era tre anni fa ai tempi della favola sui consiglieri regionali che avrebbero fatto a Roma i senatori gratis. E continua ad esserlo oggi. Tanto più che si tratta di cifre davvero da poco, no?
Di Maio parla di un risparmio di 100 milioni all’anno.
Appunto: roba che uno Stato con un bilancio di 800 miliardi nemmeno se ne accorge. L’Osservatorio di Cottarelli, per quanto possono valere questi conti, parla di un risparmio reale di 57 milioni all’anno, e cioè la metà di quanto propagandato. È chiaro che, qualunque sia la cifra, si tratta di pura propaganda. Il resto dello sfogo di Bersani però merita molta attenzione.
Ci dica perché.
Se il parlamentare oggi si concepisce come uno schiacciabottoni, tanto da dirlo apertamente, significa che il problema non è il taglio dei parlamentari, ma l’involuzione della classe politica nel suo complesso, tanto da arrivare per prima a concepirsi come inutile. Tanto da credere di potersi rigenerare attraverso un’automutilazione. È un atteggiamento che mi ricorda tanto la riforma delle immunità del 1993.
In piena Tangentopoli, sotto la pressione di Mani Pulite.
Anche allora si pensava che spogliando il parlamentare dell’immunità, e denudandolo di fronte alla magistratura, la classe politica si sarebbe rigenerata. Quel che è certo è che quell’automutilazione non solo ha cambiato gli equilibri tra i poteri dello Stato, ma ha spianato la strada alla dissoluzione di una classe politica, dopo la quale non ce ne è mai stata un’altra. Certo abbiamo avuto dei parlamentari, ma non una classe politica che si concepisce come tale e che si legittima reciprocamente.
È chiaro che se il parlamentare è uno “schiacciabottoni”, diventa inutile. E se ne può ridurre il numero liberamente.
Ma allora, se passa questo principio, perché non dimezzarli del tutto, i parlamentari? E perché non risolvere tutto in un vertice tra segretari di partito, dove ciascuno pesa in ragione del pacchetto di azioni che rappresenta, come in un’assemblea degli azionisti? Sa quanti soldi continuano a costare 400 deputati e 200 senatori? Capisce che se si sfonda una linea, trovare poi un limite davanti al quale fermarsi diventa difficile. Tant’è vero che da allora, e cioè da Tangentopoli, si è sempre andati avanti nella stessa direzione in un gioco di delegittimazioni reciproche.
Ci spieghi bene cosa intende. Anche prima ha parlato di reciprocità della classe politica nel legittimarsi.
Una classe politica ha coscienza di sé e del suo ruolo. E la coscienza del ruolo ha un implicito effetto di legittimazione. Insomma, ci sarà stato un motivo se, in altri tempi, i re non tagliavano la testa agli altri re, perché se no passava l’idea che ai re si poteva tagliare la testa e il sistema crollava. Quel che voglio dire è che se manca la consapevolezza di un ruolo, alla fine di quel ruolo manca anche la percezione tra chi lo deve rispettare. E allora si diventa come Bersani, che almeno ha il merito di aver detto le cose come stanno.
Conclusione?
Quei 630 e 315 parlamentari che si taglieranno, potranno essere tagliati non perché siano troppi, ma perché, tutti assieme, non fanno una classe politica.
Come ha detto Enzo Cheli, la riforma “verrà approvata e questo è il dato di fatto da cui partire”. Facciamolo. Il taglio dei parlamentari va a referendum. Può dire agli elettori che ci stanno leggendo perché non vergognarsi di votare no? Oppure dovrebbero votare sì?
In tutta sincerità io dubito che gli elettori saranno mai chiamati ad un referendum su questo tema. Il referendum non è un fatto automatico. Deve essere chiesto o da 500mila elettori, o da cinque Consigli regionali o da un quinto dei membri di una Camera. Insomma, se nessuno se la sente di far partire una campagna referendaria, anche una riforma passata con un solo voto in più della maggioranza assoluta è destinata ad entrare in vigore. Il che è sempre stata esattamente la strategia dei 5 Stelle. Dopo 25 anni di delegittimazione della classe politica chi andrebbe oggi a dire ai cittadini che lasciare il Parlamento così com’è non sarebbe affatto un male?
E che semmai bisognerebbe pensare a parlamentari diversi?
Appunto. Ci si esporrebbe alla solita obiezione del voler salvare le poltrone. Per questo, sulla carta è possibile chiedere un referendum. Gestirne la campagna elettorale, però, sarebbe difficilissimo.
Quali sviluppi prevede?
Si congelerà la situazione per un po’ e ci si sposterà sulla legge elettorale. Poi fatta quella, un giorno si potrà andare a votare.
Sulla legge elettorale non c’è accordo, perché i leader si sono accorti che il proporzionale enfatizzerebbe a dismisura quanto sta accadendo: l’imperversare di Renzi e forse, un domani, dell’amico-nemico Di Maio. Cosa fare?
Cosa fare non lo sa nessuno. E infatti sta tornando fuori di tutto, dentro e fuori il Pd che, almeno, con Giorgis e Ceccanti, cerca di avere un pensiero sul punto. È che già lì, qualcuno vuole un proporzionale puro; altri lo vogliono con lo sbarramento “alto” per mettere in difficoltà Renzi; altri lo sbarramento alto con la sfiducia costruttiva; qualcuno parla di doppio turno da vent’anni e continua a farlo oggi. Ma non c’è solo questo.
A cosa pensa?
Al fatto che per prendere tempo si allargherà il campo e si giocherà sull’abbassamento dell’età per votare, sulla base regionale per l’elezione del Senato, sui regolamenti parlamentari, eccetera. Vuole che continui? È il solito armamentario delle riforme che gira da vent’anni, che ogni tanto finisce nell’armadio e che ogni tanto si rispolvera.
Senza però riuscire a cambiare granché, se non in peggio. Perché?
Perché quell’armamentario è il figlio dell’illusione che basti cambiare le regole per cambiare la politica: un’illusione che ha guidato la fase dello sperimentalismo costituzionale. Adesso è solo materiale per una tattica parlamentare che usa spregiudicatamente la Costituzione per comprare tempo. È il cinismo della disperazione.
Scusi se torno a chiederle: cosa fare?
Diciamo che in caso di bisogno il Mattarellum è sempre lì, pronto per essere rispolverato. Dei sei sistemi elettorali che si sono succeduti dal 1992 ad oggi è quello che, pur non mantenendo le promesse, almeno ha dato meno problemi.
Che fine ha fatto il “referendum approvativo”?
È l’altro lato del disegno politico dei 5 Stelle. Che poi è molto semplice: ridurre il peso politico del Parlamento, spostare quel peso sulle consultazioni dirette – e cioè Twitter, referendum e Rousseau: tanto nella loro ottica è tutto uguale – e cambiare così la logica di funzionamento delle istituzioni. Non a caso le due riforme, taglio dei parlamentari e riforma del referendum, sono sempre andate di pari passo. Tant’è vero che ieri se ne è ricominciato a parlare, assieme ad altre cose da introdurre o correggere. Sarà la prossima frontiera. Manca il terzo lato del triangolo.
Ci lasci indovinare: i cambi di casacca. Le limitazioni al divieto di mandato imperativo, di cui già si parla sottovoce.
Proprio quelle. Limitazioni che i 5 Stelle erano già riusciti ad inserire nel “contratto di governo” con la Lega. Che hanno cercato di introdurre con le sanzioni ai dissidenti che abbandonano il gruppo. E che il Tribunale di Roma ha già dichiarato nulle, come è nullo ogni contratto contrario a norme imperative. Crede che sarebbe difficile, volendo, far partire una campagna contro i parlamentari voltagabbana che si staccano e fanno un loro gruppo o che passano da una maggioranza all’altra? È la stessa tecnica usata per il taglio ai parlamentari.
Fatto quello, a che serviranno i parlamentari?
Più a nulla. Nemmeno a schiacciare il bottone. Basterà il palmare o il telecomando. Del resto, non è vero che se “uno vale uno”, allora “uno vale l’altro”? Ieri sera mi è capitato di vedere il senatore Razzi rivendicare con orgoglio a Forza Italia la primogenitura del progetto del taglio dei parlamentari. Si sbaglia. Il progetto è più antico.
(Federico Ferraù)