Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha varato ieri un taglio dei tassi di interesse dello 0,25%. Secondo le ultime proiezioni dell’Eurotower, l’inflazione dovrebbe aumentare nell’ultima parte dell’anno per poi diminuire e raggiungere il 2% nella seconda metà del 2025. Domenico Lombardi, professore di politiche economiche e governance dell’Eurozona alla Luiss, di cui dirige il Policy Observatory, ricorda che sommando quest’ultimo taglio a quello dello scorso giugno, “l’entità complessiva della riduzione è di mezzo punto percentuale. I dati più recenti confermano la progressiva stabilizzazione del quadro inflativo con l’inflazione tendenziale pari al 2,2% in agosto, anche se la componente core si mantiene vischiosa. In particolare, il comparto dei servizi si mantiene stabilmente attorno, o su valori di poco superiore, al 4%. Per questa ragione, la presidente Lagarde ha spiegato, il taglio dei tassi non è stato maggiore”.



Vedendo la situazione dell’economia europea, con la revisione al ribasso del Pil del secondo trimestre e l’andamento negativo della produzione industriale tedesca e non solo, la Bce non sta facendo troppo poco?

Come ha sottolineato la Presidente Lagarde, la Bce si aspetta che l’inflazione dell’Eurozona converga sul 2% entro la fine del prossimo anno. Peraltro, le aspettative inflative di medio periodo sono ancorate, come si dice in gergo, rappresentando un ulteriore elemento di rassicurazione. In ogni caso, le previsioni della Bce sull’inflazione sono stabili da diversi trimestri, al contrario di quelle sulla crescita economica invariabilmente riviste al ribasso, anche in quest’ultima occasione. In particolare, le condizioni stagnanti da oltre un anno dell’economia tedesca destano preoccupazione – preoccupazione che si intensifica rispetto agli indicatori congiunturali che ne confermano all’unisono lo stallo anche nei prossimi mesi. Poiché la politica monetaria ha impatto sull’economia reale con ritardo, è possibile che l’eccessiva cautela accentui il deterioramento delle prospettive congiunturali dell’intera Eurozona. D’altro canto, essendo il prossimo Consiglio direttivo previsto solo fra sei settimane, è difficile ipotizzare un altro taglio a ridosso di quello appena avvenuto, anche se la Fed potrebbe aiutare.



Tuttavia, sembra che la Fed, visto l’ultimo dato sull’inflazione negli Stati Uniti, la prossima settimana potrebbe tagliare i tassi solamente di un quarto di punto…

Negli ultimi cinque mesi, l’inflazione americana ha mostrato una progressiva stabilizzazione. Ad agosto, in particolare, la variazione tendenziale era pari al 2,5% rispetto al 2,9% di luglio, con la componente core stabile al 3,2%. Piuttosto, sono i dati del mercato del lavoro oggetto di sempre maggiore attenzione: sono stati, infatti, rivisti al ribasso per quanto concerne il numero di nuovi posti di lavoro, anche se nel complesso non si può parlare di deterioramento, ma di softening delle condizioni di mercato, per usare le parole di uno dei Governatori.



Dunque, cosa potrebbe decidere di fare la Fed la prossima settimana?

Nel complesso, l’attesa è per una riduzione di almeno 25 punti base, se non addirittura il doppio. Tale riduzione sarà probabilmente seguita da una ulteriore nella riunione successiva, a maggior ragione visto che avverrà subito dopo le elezioni presidenziali. Proprio per questo motivo, alcuni analisti ritengono che la Fed possa fare di più la prossima settimana e avviare la riduzione già con taglio di mezzo punto; in caso contrario, qualora vi fosse un deterioramento congiunturale, dovrebbe aspettare sino a novembre per reagire. Se la Fed effettivamente seguisse una postura più aggressiva nella riduzione dei tassi, questo darebbe maggiore conforto alla Bce, condizionandola nello stesso senso. 

Cosa comporta per l’Italia questa conferma di un atteggiamento “prudente” da parte della Bce?

La postura della Bce di cauto allentamento dell’inasprimento monetario rimane problematico per l’Italia, il cui tasso di inflazione è da diverso tempo attorno all’1%, abbondantemente al di sotto del target di medio periodo fissato dalla Bce e pari al 2%. Ne consegue che l’entità della restrizione monetaria per l’Italia è superiore alla media dell’Eurozona con un maggior effetto depressivo sull’economia reale.

(Lorenzo Torrisi)

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