Il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari si terrà il 29 marzo. Il Movimento 5 Stelle ne ha fatto un simbolo della lotta agli sprechi che alimentano “la Casta”, molti costituzionalisti lo criticano apertamente, i partiti, divisi tra maggioranza e opposizione, si ritrovano uniti da un approccio prettamente strumentale. Di fatto il voto ravvicinato blinda la legislatura almeno per un altro anno, cioè fino all’approvazione della legge elettorale per il nuovo Parlamento ridotto.



Secondo Enzo Cheli, costituzionalista ed ex vicepresidente della Corte costituzionale, è anche da escludere che in caso di approvazione della riforma il Parlamento attuale sia da considerarsi delegittimato e per questo non possa eleggere il nuovo Capo dello Stato.

In questo modo Cheli risponde indirettamente a Giulio Tremonti, che in un’intervista alla Verità ha difeso la tesi opposta: “Con il taglio dei parlamentari si creerebbe un mostro giuridico – ha detto l’ex ministro –. Non può essere un Parlamento azzoppato a eleggere l’erede di Mattarella solo perché il Pd vuole lo status quo. Servono elezioni immediate”.



Professor Cheli, ipotizziamo che il 29 marzo vinca la riduzione dei parlamentari. A quel punto che cosa succede?

La legislatura può arrivare a scadenza naturale. Nel testo della legge sottoposta a referendum, oltre alla modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione, c’è una norma finale – l’articolo 4 – che stabilisce che la riforma decorre dal primo scioglimento successivo alla data di entrata in vigore.

A volere il taglio dei parlamentari è stato M5s motivando la riforma con la riduzione dei costi della politica. Che ne pensa?

Si tratta di una motivazione inaccettabile: i vantaggi della democrazia sono enormemente superiori alla valutazione dei costi di un Parlamento, che oltretutto sono assolutamente trascurabili rispetto al bilancio dello Stato. Detto questo, il tema della riduzione del numero dei parlamentari è nell’agenda politico-istituzionale da molto tempo.



La riduzione è un provvedimento sensato?

A mio avviso sì, perché il numero attuale, rispetto alle modalità con cui i parlamenti devono operare oggi, e cioè con maggiore efficienza e rapidità, è elevato.

Perché la Costituente fece la scelta del numero che conosciamo?

Il tema del numero dei parlamentari fu discusso a lungo, poi si adottò una soluzione estensiva perché si perseguiva un fine di garanzia rispetto a tutte le forze in campo. Lo dimostra il fatto che il naturale completamento di quelle scelte fu l’adozione di un sistema proporzionale.

Quali sarebbero le conseguenze se passasse la riforma?

Ci si attende un aumento di efficienza nel funzionamento delle Camere e un aumento del peso politico dei singoli parlamentari, che acquistano una rappresentanza territoriale più ampia.

La rappresentanza non sarebbe diminuita?

No, avremmo una sua nuova articolazione. Negli Stati Uniti il Senato rappresenta tutto il territorio americano.

Dunque la riforma, se approvata, non comporterebbe una delegittimazione del Parlamento nella composizione attuale? 

Non sul piano della tecnica politico-costituzionale. Sia il Parlamento che ha votato la riforma, sia il corpo elettorale che la convalida nel referendum, ne accettano la decorrenza: anch’essa fa parte della legge stampata sulla scheda elettorale. 

E sul piano politico?

Potrebbero esserci degli effetti indiretti, nella misura in cui il passaggio referendario è visto come un tentativo di accelerare la fine della legislatura.

È quello che spera l’opposizione. La paralisi del Governo Conte è sotto gli occhi di tutti, e il partito di maggioranza relativa – M5s – è franato nei consensi.

Può essere uno dei fattori che giocano ad anticipare lo scioglimento. Però entra in campo anche un motivo opposto: l’interesse dei parlamentari in carica a finire il proprio mandato. Non è detto che queste spinte contrastanti trovino un bilanciamento.

Che cosa farà il Presidente della Repubblica?

Nella forma di governo parlamentare che utilizziamo l’interesse primario del Capo dello Stato è consentire ad ogni legislatura di giungere alla sua naturale conclusione.

Il Pd non voleva il taglio dei parlamentari, ma quando ha formato il governo Conte 2 si è allineato a M5s. La Lega ha procurato le firme mancanti perché il referendum avrebbe accelerato il ritorno alle urne. Che ne pensa?

È l’ennesima manifestazione di una stagione difficile, segnata da un trasformismo estremo, che rappresenta un pericolo effettivo per le istituzioni. Per nostra fortuna questo avviene in un quadro di garanzie istituzionali piuttosto robuste: penso ai poteri del Capo dello Stato, al ruolo della Corte costituzionale, della magistratura, ma anche al buon senso del corpo elettorale, che è molto oscillante ma poi nelle scelte decisive si mostra sempre abbastanza equilibrato.

La sua sembra una posizione tranquilla e ottimista.

Questa è la stagione che viviamo. Non bisogna farsi prendere dal timore della scossa generale, ma valorizzare gli aspetti positivi che concorrono alla stabilità del sistema.

Qual è la sua previsione?

La riforma darà luogo ad un processo che va oltre le intenzioni miopi e discutibili di chi lo ha innescato. Il taglio dei parlamentari verrà sicuramente completato dall’equiparazione dell’elettorato attivo e passivo tra Camera e Senato. Poi, avendo ridotto i parlamentari, si valorizzerà il Parlamento in seduta comune unificando il voto di fiducia o sfiducia. All’orizzonte vedo il passaggio a un sistema monocamerale, che poi è una scelta verso la quale sta andando al maggioranza dei parlamenti del mondo.

Un Parlamento ormai appartenente al vecchio sistema potrebbe eleggere il nuovo presidente della Repubblica?

Dal punto di vista costituzionale, se il quadro politico regge e non si va allo scioglimento, questa legislatura è pienamente legittimata a eleggere il successore di Mattarella.

Non teme che la riduzione dei parlamentari accentui il trasformismo parlamentare nella restante parte della legislatura?

Difficile rispondere, perché il trasformismo è un virus che sfugge agli schemi. Un antidoto sta nella modifica dei regolamenti parlamentari, ma non è risolutivo.

Per quale motivo?

Perché la vera matrice delle difficoltà di cui parliamo sul piano costituzionale è la crisi del sistema dei partiti. L’antidoto vero è una moralizzazione generale della vita politica e dei partiti politici. Una strada lunga, che nessuno sembra voler intraprendere.

Tutto quello che abbiamo detto presuppone la vittoria della riforma. E se questa venisse bocciata?

Se così fosse, avremmo una conferma del grande spirito conservativo costituzionale del nostro corpo elettorale. Non dimentichiamoci che nel 2006 e nel 2016 gli italiani hanno preferito tenersi la Costituzione che avevano.

Ridotto il numero dei parlamentari, tutte le leggi elettorali sono buone?

In linea di principio il numero dei parlamentari non è decisivo nella scelta del sistema elettorale, anche se la riduzione del numero spingerebbe naturalmente verso modelli maggioritari. 

(Federico Ferraù)