La politica sta giocando a bridge ma la partita presenta tratti di stranezza. Come i giocatori di bridge ben sanno, al momento del contratto il linguaggio è in codice, un codice peraltro ben conosciuto dai giocatori che condividono il codice e non pensano a mutarlo mano dopo mano; così, nessuno che sentisse l’espressione “cinque fiori” pronunciata da un giocatore, penserebbe che si stia parlando di un mazzo di rose.
Condividere un codice, di linguaggio o di comportamento, è la base per poter sedersi ad un tavolo condividendo gli scopi ultimi della partita. Condividere la base per potere stare insieme pur nella diversità di opinioni, di sentimenti e di ideologie è anche la condizione perché chi guarda la partita possa valutare il suo andamento e l’intelligenza dei giocatori.
Oggi, al tavolo di bridge della politica si sta giocando una partita che ha tutta l’apparenza dell’irrazionalità, con cambi di strategia che disorientano, con letture e interpretazioni delle varie mosse che sconcertano. In più, si invocano regole senza che vi sia un accordo seppur ultimo sui principi e sui valori che hanno portato all’emanazione delle regole stesse, le quali possono dunque essere manipolate a piacere, usate a piacere, cambiate a piacere. Difficile dunque prevedere che cosa succederà anche solo a distanza di ore, visto che – fin qui – si è visto di tutto, dai cambi di strategia di alcuni leader e di alcune correnti alla dichiarazione di Salvini di voler accedere alle richieste del Movimento 5 Stelle sul taglio dei parlamentari a condizione di andare subito al voto.
Se i cambi generano disappunto, le due ultime richieste sono compatibili? Fin qui si è sentito e si è letto da più parti che esse non sarebbero compatibili (ma come al solito il condizionale è d’obbligo): il taglio dei parlamentari comporta infatti che i collegi elettorali vengano ridisegnati e, probabilmente, anche un ripensamento della legge elettorale, tutte operazioni che comportano quantomeno diversi mesi senza che si possa effettivamente votare. E, nel frattempo, chi sarà al governo? Tutti invocano l’intervento del Presidente della Repubblica, ma come intervenire su un terreno politico ormai tramutato in una palude a sabbie mobili e davanti ad istituzioni parlamentari dove i rapporti politici vanno in rotta di collisione con i sondaggi (e con i risultati delle elezioni europee) mentre in Europa si giocano partite inedite senza riferimento alle scelte compiute a livello nazionale?
Compito della Costituzione sarebbe quello di dare razionalità alle possibili intemperanze della politica e, pertanto, occorrerebbe recuperare quell’indispensabile fiducia reciproca che consente alle coalizioni di governare legittimamente e alla maggioranza di rispettare i diritti delle minoranze. Ma per raggiungere questo fine occorrerebbe girare la moviola al contrario, cancellando quasi tutto di quello che è avvenuto in queste settimane (forse persino in questi mesi).
Forse assisteremo ad un nuovo governo a maggioranza diversa da quella che ha governato finora (anche a rimarcare come non vi sia contratto che tenga, in un sistema che non riconosce le proprie basi), situazione che moltiplicherà conflitti e reciproche delegittimazioni senza che vi sia un nuovo voto da parte del popolo sovrano; forse si tornerà a votare senza che ad oggi sia chiaro chi condurrà il Paese nel frattempo e nella più completa ignoranza di che cosa vorranno fare le diverse coalizioni. Le urgenze sono sul tappeto: chi risponderà?
Nella più completa impotenza a identificare quale sia la scelta migliore, tutte essendo altamente problematiche ed instabili, non resta che affidarsi alle logiche della democrazia parlamentare, certamente ridotta alla casualità dei numeri, di una maggioranza che non significa più coesione ma semplice calcolo, come ultima ratio. Ma, come è stato detto, ai mali della democrazia si deve rispondere solo con i meccanismi della democrazia.