Motivando la nuova posizione assunta del Pd a favore della riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari, il deputato Stefano Ceccanti ha sostenuto di non voler certo seguire quanto diceva il famoso comico Groucho Marx: “abbiamo i nostri principi, ma, se volete, li possiamo cambiare”. Purtroppo, il riferimento alla professione di Groucho è potentemente allusivo, e la situazione non è affatto comica.
In larga parte, i deputati che hanno votato a favore della riforma, hanno affermato che essa determinerebbe un certo risparmio per l’erario e assicurerebbe una qualche maggiore efficienza. Alcuni hanno aggiunto che il voto era sostanzialmente imposto, o dal vincolo di lealtà rispetto al partito di appartenenza o dall’accordo che ha determinato la nascita della nuova maggioranza. Altri si sono appellati alla coerenza rispetto alle posizioni già assunte nel procedimento parlamentare. Una varietà di motivazioni piuttosto deboli ed in buona misura strumentali ad altri fini, seppure con obiettivi diversi e talora diametralmente opposti a seconda delle singole forze parlamentari.
In definitiva, il dibattito parlamentare è stato lo specchio della preoccupante delegittimazione del presente ceto politico, ed il voto conclusivo non ne è la causa, ma ne è l’effetto, e nello stesso contribuisce a aggravarla. Non agisce certo in senso opposto chi si è spinto ad affermare che avrebbe sì votato a favore, ma, soltanto un secondo dopo, avrebbe promosso la raccolta delle firme necessarie per far cancellare la riforma mediante il referendum popolare. Se i cittadini saranno chiamati a pronunciarsi, potranno a buon diritto domandarsi a cosa servono i parlamentari: prima di interpellarci, non potevate riflettere con più attenzione e deliberare in senso coerente con le vostre opinioni?
Per di più, molti deputati hanno dichiarato che la sola riduzione del numero dei parlamentari di per sé determina problemi e squilibri di non poco conto. Problemi di rappresentatività, e squilibri nella composizione e nella funzionalità degli organi. Ad esempio, con la nuova composizione del Senato i senatori di nomina presidenziale – il cui numero rimane invariato – potranno condizionare in misura più consistente la formazione della maggioranza; oppure, alcuni territori regionali saranno fortemente sottorappresentati rispetto al numero di senatori che sarà automaticamente garantito alle Province autonome di Trento e Bolzano. Più in generale, i delegati regionali che partecipano all’elezione del Presidente della Repubblica, avranno un peso immotivatamente maggiore dell’attuale.
Un problema assai grave si potrà porre, poi, in caso di scioglimento, ordinario o anticipato, delle Camere: la riduzione dei parlamentari troverà obbligatoria applicazione, ma saranno necessarie nuove leggi elettorali, perché le vigenti saranno inutilizzabili. Infatti, per la prima volta nella storia repubblicana, le leggi vigenti sono state scritte in relazione ad un numero fisso di collegi, quello previsto dall’attuale Costituzione. E poi sono state corrette per consentire, con apposito decreto legislativo, l’aggiornamento dei collegi in caso di modifica costituzionale della composizione delle Camere. Allora, se non si dovesse approvare il decreto legislativo in senso coerente con la nuova composizione delle Camere, in special modo in caso di scioglimento anticipato – evento sempre possibile – sarebbe impossibile la rielezione del Parlamento. Per questo aspetto, dunque, la riforma determina una possibile condizione di assoluto non funzionamento della nostra forma di governo. E non va escluso che il Capo dello Stato, anche a tutela dei poteri attribuitigli, potrebbe segnalare tale criticità in sede di promulgazione di questa legge di revisione costituzionale.
Di fronte a tutto ciò, ci si è appellati ad un accordo raggiunto in extremis dalle forze di maggioranza circa un consistente pacchetto di riforme. Riforme costituzionali, legislative e regolamentari che ci si impegna ad introdurre proprio con l’obiettivo di rendere istituzionalmente accettabile la riduzione del numero dei parlamentari. Quasi utilizzando la logica del “paghi uno, prendi tre”. Spesso, però, le promesse scritte nei documenti politici sono state disattese. Le istituzioni, invece, sono cose serie e i comici dovrebbero essere tenuti alla larga.