Con l’attuale legge elettorale, fortemente ridotta la quota dei seggi attribuiti con il sistema uninominale ed agganciati questi ultimi alle liste dei collegi plurinominali, siamo tornati al tempo del proporzionale. Nessuna meraviglia, dunque, innanzi alla necessità di dar vita a governi di coalizione post-elettorali. Nessuno scandalo se l’attuale esecutivo e in primis il Presidente del Consiglio devono affrontare i perigliosi marosi delle (micro e macro) conflittualità tra i partiti di maggioranza e al loro interno. Certo, la storia non si ripete, ma siamo di fronte ad una sorta di “ritorno al futuro”. Con nuovi protagonisti, inevitabilmente privi, però, dell’esperienza che i loro predecessori avevano acquisito nel lungo corso della prima repubblica.
Su un aspetto delle riforme istituzionali, tuttavia, la maggioranza appare fortemente coesa e non sembrano esservi tentennamenti. A differenza dell’autonomia regionale differenziata, vera e propria tela di Penelope continuamente tessuta e disfatta, la materia elettorale è stata oggetto di un abile gioco di squadra. Senza tanti clamori è stata approvata la legge n. 51/2019 che consente di mantenere fermo l’attuale sistema elettorale qualunque sia la numerosità delle Assemblee parlamentari. Così, si è aperta la strada alla riforma costituzionale che riduce drasticamente il numero dei parlamentari, riforma recentemente approvata in seconda lettura al Senato ed ora destinata al rapido ed ultimo passaggio alla Camera.
Le opposizioni, tranne quella di destra, lamentano l’eccessiva compressione della rappresentanza politica. Ma sono critiche che difficilmente avranno successo. Lo slogan della riduzione dei parlamentari è stato lungamente sventolato anche da questi fronti, e per di più, era stato inserito, ad pompam, nello stesso titolo della riforma costituzionale Renzi-Boschi. Adesso, prima di rischiare di chiedere il referendum costituzionale, ci si deve bene interrogare sulle (assai scarse) possibilità di successo di un voto popolare a favore della “casta”!
In tutto ciò il Governo, apparentemente alla finestra, muove le fila di un riassetto della nostra democrazia: meno parlamentari, da un lato, ed introduzione dell’iniziativa popolare legislativo-referendaria, dall’altro lato. È una tenaglia che, lasciando fermo il sistema elettorale prevalentemente proporzionale, altera in profondità la vigente forma di governo parlamentare. Questo progetto è da lungo tempo caldeggiato dal Movimento 5 Stelle, e la Lega sinora sembra sostenerlo. Rimane sullo sfondo una variabile indipendente: se l’autonomia differenziata non dovesse passare, la Lega non raggiungerebbe un obiettivo essenziale del suo programma, e, se ancora in tempo, potrebbe far saltare il banco. Se invece il regionalismo differenziato andasse in porto, il potere di indirizzo politico centrale sarebbe ulteriormente indebolito. Per la nostra sopravvivenza, resterebbe, allora, una sola soluzione: la repubblica presidenziale, di fatto o di diritto.