In una lettera al Giornale, Silvio Berlusconi ha esposto la proposta di Forza Italia per “tagliare le tasse”. “La nostra proposta finale rimane quella della flat tax, la realizzerà il futuro governo di centrodestra, ma fin d’ora è indispensabile un robusto taglio delle imposte”, ha scritto l’ex Premier, spiegando che l’intenzione è quella di introdurre tre aliquote Irpef che non vadano oltre il 23%, con una no tax area per i primi 12.000 euro di reddito. Considerando le altre indicazioni in tema fiscale arrivate nelle scorse settimane dai partiti della maggioranza – compreso l’incremento dell’imposta di successione avanzato dal Segretario del Pd Letta – non appare semplice trovare una quadra tra le forze politiche che sostengono l’esecutivo.



«La mia sensazione – ci dice Nicola Rossi, Professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata – è che, contrariamente a quello che molti pensano, la grande eterogeneità della maggioranza possa non rappresentare un limite per un accordo sulla riforma fiscale».

Su quale base si potrebbe arrivare a un tale accordo?



Ho la sensazione che sull’ipotesi di un ritocco del numero di aliquote, e quindi su una revisione della progressività dell’Irpef, possa trovarsi un minimo di consenso. Il problema è che una semplice ridefinizione delle aliquote dell’Irpef non risolve affatto i problemi del nostro sistema tributario che non sono solo relativi all’equità verticale. Abbiamo, infatti, un problema serissimo di equità orizzontale, cioè di come trattiamo contribuenti con lo stesso reddito, derivante però da fonti diverse. È chiaro che rivedere le aliquote Irpef per portarle a tre e modularle meglio rispetto alla situazione attuale non risolve questo problema. Le forze principali della maggioranza possono quindi arrivare a un accordo, ma su un aggiustamento estetico del sistema fiscale e non su quella riforma profonda che è imperativa se vogliamo mettere in condizione il Pnrr di dare i frutti sperati.



Draghi non vorrà qualcosa di più di una riduzione e rimodulazione delle aliquote Irpef?

Mi pare che il Premier abbia indicato chiaramente un percorso per arrivare a una riforma fiscale. Il primo passo è rappresentato dalle indicazioni delle commissioni Finanze di Camera e Senato, sulle cui basi verrebbe preparata la legge delega. Quindi andrebbe costituita una commissione con l’obiettivo di fare in modo che tutti gli elementi indicati nella legge delega stiano insieme in maniera coerente. Il percorso è del tutto ragionevole ed è del tutto sensato che si parta dalle indicazioni delle commissioni, cioè dalle indicazioni parlamentari. La domanda è: queste indicazioni si limiteranno solo alla revisione delle aliquote Irpef o, per fare solo un esempio, andranno oltre affrontando il tema delle imposte cedolari, dell’Ires e dell’Irap?

Si tratta di un nodo politico o anche temporale, dato che ormai siamo arrivati oltre metà della legislatura?

Certamente una riforma fiscale non si fa dall’oggi al domani, ma credo che anche con una legge delega sufficientemente ampia ci sarebbe il tempo perché una commissione sia in grado di studiare un sistema fiscale coerente e diverso da quello attuale. Il problema è un altro. Per esempio: che cosa si vuole fare sulle spese fiscali? Ce ne sono molte, anche di dimensione irrisoria, ma che messe insieme potrebbero fornite probabilmente le risorse necessarie per una riforma minimamente ragionevole. Non so però se le forze politiche vogliano affrontare questo e altri problemi fiscali. Siamo quindi di fronte a un nodo politico che, come ho detto, potrebbe essere risolto in senso puramente “estetico”. Sarebbe un errore.

Inutile quindi farsi troppe illusioni sulla riforma fiscale.

Non dico che non si farà nulla, ma temo che il risultato finale possa essere una riforma di facciata. Mi auguro di essere smentito, anche perché questo è uno dei punti su cui si misurerà il grado di responsabilità delle forze politiche. Abbiamo infatti un disperato bisogno che il Pnrr produca i risultati che ci aspettiamo in termini di crescita, ma questo sarà possibile solo se verranno riscritte le regole del fisco in modo che sia, appunto, orientato alla crescita. Oggi non lo è. Non so però sinceramente quanto questo sia chiaro a tutti i politici.

Quali priorità bisognerebbe seguire per dotarsi di un sistema orientato alla crescita?

Gliene indico due. La prima è che la struttura della progressività deve essere tale da evitare che gli italiani debbano domandarsi se sia conveniente lavorare di più, visto che ora potrebbero essere disincentivati a farlo da un brusco aumento dell’aliquota marginale effettiva. La seconda riguarda la struttura dell’imposta sulle società, che deve essere centrata solo sugli utili distribuiti.

Si è parlato anche di imposta patrimoniale. Secondo lei, potrebbe trovare spazio in una riforma fiscale?

Occorre partire da un’osservazione di fatto: la patrimoniale già esiste, basta considerare le diverse voci di prelievo fiscale sui patrimoni, come l’Imu, l’imposta di bollo sul depositi titoli, ecc. Dunque una volta che ci si è resi conto che una tassazione patrimoniale è già presente bisognerebbe chiedersi se la si vuole incrementare ancora dopo l’aumento che c’è stato negli ultimi 10-15 anni. Francamente penso che non ci siano i margini e che sarebbe irragionevole. Si può invece – se proprio si vuole – immaginare di spostare l’onere della tassazione patrimoniale sui contribuenti più abbienti al momento della successione ereditaria, purché il gettito aggiuntivo vada a ridurre l’imposizione già presente sugli stessi cespiti.

Nella sua lettera, Berlusconi parla anche della necessità di bloccare le cartelle esattoriali fino a fine anno e di varare misure per chiudere i contenziosi pregressi con il fisco. Cosa pensa di questi temi?

Credo che bisognerebbe adottare soluzioni diverse dalla continua proroga delle scadenze. Pochi notano che nel 2020 la pressione fiscale è salita dello 0,7%: che in un anno connotato dagli effetti della pandemia il fisco chieda più di quello che chiedeva prima del Covid è veramente paradossale. Penso che occorra tenere conto anche di questo, sfruttando il momento per mettere ordine e dare qualche certezza. L’ideale sarebbe inviare ai contribuenti – con l’esclusione delle partite inesigibili – una sola comunicazione chiara relativa all’ammontare complessivo del proprio debito concedendo dieci anni per rimborsarlo (e, ovviamente, cassando sanzioni e interessi di mora). L’obiettivo di un creditore dovrebbe essere mettere il debitore in condizione di pagare, ma il fisco non sembra averlo in mente nella attività di riscossione. Con i risultati che vediamo.

(Lorenzo Torrisi)

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