Siamo sull’orlo di una guerra con Cina e Russia su argomenti che parzialmente abbiamo noi stessi creato, senza alcuna consapevolezza su come questo andrà a finire e su cosa questo comporterà. Nella condizione attuale non si può già più pensare di rompere il fronte sino-russo e metterli uno contro l’altro. Tutto ciò che si può fare è non accelerare il processo creando tensioni e cercare delle opzioni, attività quest’ultima che necessita però di scopi e idee precise.



Parole di Henry Kissinger in un’intervista al Wall Street Journal del 12 agosto, tutta incentrata sul rischio incombente del disequilibrio globale. Ma l’America di oggi pare disinteressata alla saggezza di realpolitik del 99enne ex Segretario di Stato. E infatti, a soli 12 giorni dalla visita di Nancy Pelosi a Taiwan, domenica una delegazione di cinque membri del Congresso è sbarcata a Taipei. 



Ormai Washington pare trattare l’Isola come il suo 52mo Stato. Esattamente il contrario di quanto suggerito da Kissinger. E un’ennesima, palese provocazione nei confronti della red line suprema di Pechino che ha indotto la Cina a reagire immediatamente, annunciando altri sette giorni di esercitazioni militari attorno nelle acque e nel cielo di Taiwan. Il più grande spiegamento di forze mai messo in campo. Di fatto, la prova generale dell’invasione. Che quando accadrà (l’opzione del se è fin da ora inutile da prendere in esame), a questo punto è da ritenersi giustificata dalle continue provocazioni americane. 



Parlando di argomenti che parzialmente abbiamo noi stessi creato, Henry Kissinger mostra un’onesta intellettuale figlia dell’età e della volontà di redenzione. Quindi, c’è da preoccuparsi. L’America vuole che Pechino reagisca e invada. È inutile fare tanta filosofia attorno all’argomento: soltanto un provocatore scientifico, dopo il caos innescato dalla visita della Speaker della Camera, permetterebbe a cinque misconosciuti membri del Congresso di presentarsi a sorpresa a Taiwan nel giro di dieci giorni. E la scusa della mancata comunicazione al riguardo, se possibile, peggiora il quadro. Con quale finalità, poi? A nome di chi o di quale argomento che non sia già stato ampiamente e mediaticamente rivendicato da Nancy Pelosi? Forse, più che altro, occorre chiedersi per coprire cosa, scatenando l’ennesimo polverone? 

Forse può spiegarcelo questa tabella, la quale ci mostra l’elenco dei principali azionisti dell’azienda cinese Borqs, operativa nel campo del 5G e di Internet. Il secondo pacchetto per controvalore dopo quello del CeO del gruppo fa capo al 53enne Paul Pelosi Jr. Il quale non è un omonimo, ma il figlio della Speaker della Camera, il quale 12 giorni fa ha accompagnato in delegazione la madre nella visita a Taipei. Guardandosi bene di rendere nota quella sua partecipazione finanziaria, tanto da aver scatenato le ire di parecchi politici taiwanesi, fra cui l’ex Presidente della Commissione di supervisione finanziaria dell’Isola, Tseng Ming-chung. 

E non basta, perché Paul Pelosi Jr. ha lavorato come consulente per la Borqs, la quale ha appunto saldato parte del suo compenso in azioni. Difficile risultare credibile nel ruolo di accompagnatore di mammà per conto delle forze del Bene, quando i soldi e i titoli azionari dell’impero rosso del Male non ti fanno affatto schifo. Ipocrisia allo stato puro. Ma che oggi, come sottolineato da Henry Kissinger, può portare a epiloghi senza ritorno. E forse sarebbe il caso di rivedere con una certa rapidità di analisi e onestà intellettuale anche la difesa acritica e a spada tratta di Volodymir Zelensky e del suo Governo, da qualche giorno entrato anch’esso in modalità di provocazione continua. Perché se realmente stai cercando un binario negoziale, dichiarare che la guerra si concluderà con il ritorno della Crimea sotto il controllo ucraino non pare un viatico particolarmente efficace per garantirsi la benevolenza di Mosca. Anzi. E questi due tweets palano chiaro. Molto chiaro. A meno che non si voglia capire. O non si abbia un tornaconto nel fingere, opponendo alla realtà il ritrito refrain della democrazia che impone costi e sacrifici. 

Non solo il Presidente ucraino ha lasciato che la sua bulimia social gli giocasse un brutto scherzo, ponendo egli stesso fine alla querelle su chi stia giocando con il fuoco di un incidente nucleare alla centrale di Zaporizhzhia, ma la Reuters, fonte mai particolarmente tenera con il Cremlino, ha rilanciato le immagini dei droni dalle quali si evince come siano stati razzi di lunga gittata in dotazione all’esercito ucraino a colpire la base russa in Crimea. Proprio nel giorno in cui Zelensky prometteva la sua riconquista e Kiev festeggiava l’esodo forzato di turisti, spaventati da esplosioni e fumo nel cielo. Missili che, chiaramente, sono stati forniti dagli Usa. E prima dell’ultimo pacchetto miliardario di armamenti e aiuti licenziato dal Congresso, un moloch di warfare e destabilizzazione da oltre 4,5 miliardi di dollari. 

Al netto delle ragioni che hanno portato Mosca alla decisione del 24 febbraio, le quali richiederanno anni prima di poter venire alla luce (ma che Henry Kissinger lascia chiaramente intuire fin da oggi), qui c’è qualcuno che sta palesemente gettando benzina sul fuoco. E giocando con opzioni che fanno rima con incidente nucleare e Terza guerra mondiale. Il playbook in atto a Taiwan è fin troppo palese, quello operativo in Ucraina sta disvelandosi giorno per giorno. Siamo sicuri come Italia che valga la pena garantirsi la vendetta energetica (e non solo) di Mosca per il mantenimento di un supporto acritico a Kiev, alla luce di quanto emerso e in via di emersione? 

Siamo sicuri, dopo aver letto l’intervista di un anti-comunista viscerale come Henry Kissinger (e uomo che di certo non ha mai esitato di fronte all’utilizzo della destabilizzazione, quantomeno in America Latina) che il supposto valore dell’atlantismo che tutte le forze politiche rivendicano e pongono al primo posto delle loro agenda elettorale, quasi una stella polare, sia piuttosto solo stupida miopia geopolitica unita a naturale inclinazione alla sudditanza verso il più forte? Perché finché a mettere in guardia dai rischi di certi giochini era il sottoscritto, facevate bene a scrollare le spalle. Ma quell’intervista del Wall Street Journal deve far riflettere. Soprattutto alla luce della provocatoria gitarella a Taiwan dei 5 peones della destabilizzazione travestiti da martiri della libertà. 

In politica estera c’è sempre una via d’uscita all’errore. Tranne in un caso. Esattamente quello che ci riguarda. E che sta silenziosamente tenendo in ostaggio il mondo. 

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