Truppe indiane e cinesi si sono scontrate lungo il confine conteso dell’Himalaya, lasciando feriti da entrambe le parti. Lo riportano ieri fonti militari e media indiani. L’incidente è avvenuto la settimana scorsa, a sei mesi da una battaglia nella quale sono morti almeno 20 soldati indiani e un numero imprecisato di militari cinesi. Secondo la ricostruzione di funzionari indiani, gli ultimi scontri sono avvenuti a Naku La, nello stato del Sikkim. Una pattuglia cinese, hanno riferito, ha cercato di attraversare il territorio indiano ed è stata respinta. “Questo episodio” ci ha detto in questa intervista il sinologo e giornalista Francesco Sisci “conferma l’aumento della tensione intorno ai confini cinesi: da Taiwan all’India al Mar Cinese Meridionale, c’è un problema generale che sta attraversando tutto il paese”.
E proprio Taiwan, l’isola di fatto indipendente ma ufficialmente parte di un’unica Cina, è l’altro fronte aperto dove ci sono gravi tensioni. Taiwan ha denunciato una nuova incursione di aerei da guerra cinesi per il secondo giorno consecutivo e a poche ore da un avvertimento della nuova amministrazione Usa a Pechino. Secondo il ministero della Difesa di Taiwan, l’operazione delle ultime 48 ore ha coinvolto 12 caccia, due aerei antisommergibili e un aereo da ricognizione. Sabato era stata segnalata la presenza di otto bombardieri cinesi in grado di trasportare armi nucleari, quattro jet da combattimento e un aereo antisommergibile. In entrambi i casi l’aviazione di Taiwan ha schierato i suoi sistemi missilistici di difesa. “Pechino vuole dissuadere Taiwan dal cercare di aumentare il proprio spazio politico” dice Sisci al Sussidiario. “L’ex segretario di stato Usa Mike Pompeo negli ultimi giorni del suo mandato ha eliminato il veto ufficiale di visite di funzionari americani sull’isola. La cosa rischia di cambiare un punto cruciale della normalizzazione dei rapporti tra Usa e Cina alla fine degli anni 70. L’accordo fu trovato sul riconoscimento americano di Pechino, e l’abbandono politico e diplomatico almeno parziale di Taipei. Oggi sembra che si stia cambiando atteggiamento e l’amministrazione Biden non pare voglia scostarsi dalle scelte di Pompeo. Questo può mettere Pechino con le spalle al muro per una serie di scelte politiche e diplomatiche di rilievo globale”.
Dopo che il 2020 era stato l’anno della repressione di Hong Kong, il 2021 sarà l’anno di Taiwan?
C’è un problema più generale. Le incursioni cinesi nello spazio aereo di Taiwan sono avvertimenti duri, ma avvertimenti, non realtà, come quando uno tira fuori il coltello. Se hai intenzione di uccidere, il coltello non lo mostri, lo usi; se lo sfoderi e lo fai vedere è per dire: oggi non lo uso. Queste sono azioni dimostrative della Cina per indurre Taiwan a non tirare troppo la corda con il riavvicinamento agli Usa. L’ultimo atto di Pompeo che ha portato alla fine del bando informale delle visite americane e a voci di un riconoscimento di Taiwan invertirebbe l’accordo raggiunto alla fine degli anni 70 tra Cina e Usa per il riconoscimento di Pechino e il disconoscimento di Taiwan. Oggi sembra si stia andando in direzione opposta.
Questa mossa degli americani che conseguenze potrebbe avere?
Creerebbe una situazione politica molto difficile. Cosa farà la Cina, interromperà le relazioni unilaterali con gli Usa? Se lo facesse, potrebbero cadere come in un domino molte altre relazioni; se viceversa la Cina non rompesse le relazioni con l’America, sarebbe come se riconoscesse l’indipendenza formale di Taiwan. Queste azioni militari cinesi sono un’azione dimostrativa per indurre Taiwan a frenare su questo percorso. Ma come stavo dicendo, c’è un problema generale.
Quale?
La Cina ha ignorato negli ultimi quindici anni che gli Usa da 40 anni hanno fornito una sorta di benedizione politica e diplomatica alla Cina e sono stati una specie di lubrificante politico che ha sciolto o diluito le frizioni che esistono tra la Cina e tutti i suoi vicini. La Cina è circondata da circa venti tra Stati e territori e con tutti ha questioni di confini aperti.
Quindi?
Dopo la crisi finanziaria del 2009 la Cina ha cominciato a trascurare con un atteggiamento di accondiscendenza il rapporto con gli Usa. Nel 2013 ha lanciato la cosiddetta Nuova Via della Seta che trascende gli Usa e anzi tende a sostituirsi ad essi. Queste iniziative hanno spinto gli Stati Uniti a togliere la benedizione politica, anzi a non porgere buoni uffici e quindi senza il loro “lubrificante” tutte queste tensioni che erano gestite o nascoste sono emerse e stanno scoppiando una dietro l’altra.
A questo punto cosa potrebbe succedere?
O la Cina si rende conto di questa situazione generale, oppure queste tensioni sono destinate ad accelerare sempre di più.
Biden, tra l’altro, nei confronti della Cina non sembra da meno di Trump.
C’è una continuità, anzi Trump in realtà al di là della retorica voleva un accordo commerciale con la Cina. Biden invece non vuole un accordo commerciale, ha una visione più strategica.
In questo quadro la Corea del Nord potrebbe essere usata da Pechino come elemento di distrazione?
È possibile che la Corea del Nord diventi un elemento di distrazione, ma anche che le tensioni con la Corea possano indurre tutti i paesi vicini a dire: con la Cina non si ragiona più, apriamo tutti i fronti. Quindi non conviene a nessuno aprire il fronte nordcoreano. Questa è una miccia che può essere distruttiva, è un momento di grande pericolosità, è una questione globale che non si limita solo all’Asia, ma coinvolge la presenza cinese, anche economica e commerciale, nel mondo.
La Cina è in marcia verso un conflitto militare con i suoi vicini? Si tratta di propaganda occidentale o veramente la Cina si torva in una situazione di assedio?
C’è una effettiva preoccupazione in Cina, soprattutto guardando ai recenti atteggiamenti americani nei confronti del paese. E la guerra vera e propria non è più impossibile. La Cina non è la riedizione della Germania di un secolo fa, ma certo a Pechino, dopo un decennio di leggerezza, ora sono molto nervosi e preoccupati. L’appello alla collaborazione internazionale del presidente Xi Jinping a Davos è prova che la Cina sta cercando una nuova dimensione internazionale.
In tal caso, dove potrebbe effettivamente accadere?
Quella sorta di soft power che la Cina ha usato fino a oggi con i paesi vicini e nel resto del mondo non può più competere con quel “lubrificante” che le fornivano gli Stati Uniti. In questa situazione, tutto si blocca con un maggiore attrito e la guerra può esplodere ovunque.
Ad esempio Taiwan?
Uno dei punti è Taiwan. Qui negli ultimi mesi ci sono state crescenti tensioni perché, da un lato, le autorità di Taiwan vedono un’occasione d’oro per ottenere un maggiore riconoscimento internazionale, rafforzare l’indipendenza politica e militare dalla Cina e rompere con la deriva verso l’unificazione con la Cina continentale, che era aumentata negli ultimi 40 anni.
Cosa che la Cina non permetterà mai, giusto? Con quali conseguenze?
Mah, “mai” è una parola che non esiste in politica. La Cina, preoccupata per questa situazione, potrebbe provare a spaventare Taiwan. In questo caso, gli Stati Uniti, e forse anche il Giappone e altri paesi, potrebbero intervenire, perché una Cina sempre più assertiva che ottiene il controllo dell’isola di Taiwan e dello Stretto di Taiwan cambierebbe drasticamente l’equilibrio di potere nella regione. Ma per fortuna siamo ancora lontani da questa prospettiva. Bisogna però seguire tutto con attenzione perché le tensioni aumentano.