Il 13 gennaio 2024 il panorama politico di Taiwan ha vissuto un momento cruciale. Con le sue elezioni generali, l’isola ha rafforzato la sua posizione contro l’unificazione con la Cina continentale. Nonostante ciò, le ambizioni dell’ex Impero di Mezzo, ora emergente superpotenza, rimangono incrollabili nel loro obiettivo di fondere Taiwan nel proprio dominio, in opposizione agli Stati Uniti. Dal punto di vista di Pechino, i risultati elettorali non sono stati del tutto deludenti. Infatti il Partito Progressista Democratico (DPP), fortemente contrario all’unificazione, si è assicurato il ramo esecutivo per la terza volta consecutiva, con Lai Ching-te che emerge come il nuovo presidente eletto. Tuttavia il DPP non ha raggiunto la maggioranza parlamentare, ottenendo solo 51 seggi, una riduzione rispetto al loro precedente conteggio. Al contrario, il Kuomintang (KMT), più incline a dialogare con Pechino, ora controlla 52 seggi, e il Partito Popolare di Taiwan (TPP) detiene 8 seggi. Questo potrebbe consentire un’opposizione più efficace contro l’amministrazione di Lai, che si prevede rafforzi i legami con gli Stati Uniti e continui a forgiare un’identità taiwanese distinta in opposizione alla Cina. I taiwanesi hanno votato tenendo conto non solo delle tese relazioni con la Cina continentale, ma anche di questioni interne cruciali, come il rallentamento della crescita del Pil, l’aumento dell’inflazione e il costo degli immobili. In questo contesto, KMT e TPP hanno capitalizzato il malcontento cresciuto nei confronti del DPP negli ultimi otto anni. Questa dinamica era già evidente nel 2022, quando il KMT ha vinto le elezioni locali. Successivamente Pechino ha intensificato i rapporti con i rappresentanti del principale partito di opposizione taiwanese per valutare le sue possibilità di prendere il controllo dell’isola due anni dopo. Nonostante queste dinamiche, l’atteggiamento degli abitanti di Taiwan verso il rapporto con la Repubblica Popolare è piuttosto chiaro.



Finora, la reazione della Cina è stata relativamente moderata. Pechino ha ribadito che il piano di “riunificazione” resta immutato, ha sottolineato che il DPP non rappresenta l’opinione dominante sull’isola e ha criticato i Paesi che si sono congratulati con Lai per la vittoria. Inoltre, si sta preparando ad aprire i rapporti diplomatici con la Repubblica di Nauru, che ha interrotto quelli con Taiwan poco dopo le elezioni. Così, il piccolo Paese immerso nel Pacifico ha contribuito al ridimensionamento della proiezione politica di Taipei a livello internazionale e ha favorito l’aumento delle attività della Repubblica Popolare a est dei Mari Cinesi.



Nel frattempo, l’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) non ha condotto esercitazioni su vasta scala attorno a Taiwan. Questo approccio si allinea con il piano di Pechino di raggiungere una distensione tattica con gli Stati Uniti, senza risolvere il duello a lungo termine. Ciò è emerso durante l’incontro tra Xi Jinping e Joe Biden, avvenuto lo scorso novembre.

Xi non ha intenzione di rinunciare ai suoi progetti di espansione globale, ma deve affrontare crescenti problemi economici e sociali interni, come il rallentamento della crescita del Pil, l’aumento della disoccupazione giovanile e il declino demografico. Inoltre, c’è la necessità di evitare che l’America escluda la Cina dalle catene di fornitura tecnologiche globali. In questo scenario, un tentativo di invasione di Taiwan da parte dell’EPL nel breve periodo sembra poco probabile, sebbene il crescente incrocio di navi cinesi e americane nell’Indo-Pacifico aumenti il rischio di incidenti. Questi fattori, uniti all’indebolimento del DPP, potrebbero spingere Pechino ad intensificare le pressioni economiche, diplomatiche e cibernetiche su Taiwan.



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