I talebani sono «ecosostenibili», mentre l’Occidente è «troppo ingordo», e sulla Terra non c’è spazio per potenziali «8 miliardi di borghesi come noi»: una critica durissima – ai limiti della provocazione – quella lanciata sulla prima pagina del “Domani” dal filosofo e scrittore Raffaele Alberto Ventura. Dal climatismo all’anticapitalismo, passando per una spruzzata di “radical chic” (esatto, come quelli criticati oggi dal Ministro Cingolani e definiti parte del problema nel surriscaldamento globale): la tesi del pensatore milanese è semplice, in una pianeta con risorse comunque limitate come la Terra, la crescita fino a 8 miliardi di persone nei prossimi decenni potrà vedere una vita sostenibile solo se ognuno dovesse rinunciare al superfluo (qualora si venisse anche all’ipotetico “accordo” tra diverse nazioni su cosa sia realmente superfluo l’una per l’altra).



Il problema è però arrivare a pronunciare che una vita più sostenibile è quella di un regime dispotico che passa di casa in casa per scovare ed eliminare i cosiddetti “nemici”, costringendo il popolo alla fame da decenni e imperante una legge religiosa che non ammette spazio per le libertà personali: sarà anche “eco-sostenibile”, ma si può definire ancora vita? Per Ventura sì, tanto è l’orrore che ha consegnato al mondo non la sharia islamista, bensì il turbocapitalismo della «società borghese di massa».



L’ECOSOSTENIBILITÀ “TALEBANA”

«Questa minoranza ingorda siamo noi, la stragrande maggioranza dei cittadini occidentali», scrive Ventura sul “Domani” citando lo studio apparso sulla rivista “Nature” nel giugno 2020 dal titolo ‘Scientists’ warning on affluence’, «la nostra società borghese con le sue automobili, la sua alimentazione, le sue vacanze, i suoi gingilli elettronici, tutto questo è insostenibile» per il Pianeta. La condanna del “borghese” arriva non tanto per gli sforzi ecologici dei sempre più in crescita “radical chic” ossessionati col cibo a chilometro zero e lo spostamento in bicicletta, ma per la distanza dalla «realtà dei rapporti di produzione». Con un gergo da lotta di classe degli anni Settanta, lo scrittore conclude il suo ragionamento contro il progetto liberale moderno attaccando «non è rassicurante ammettere che lo stile di vita talebano è più ecosostenibile del nostro, perché a nessun prezzo saremmo disposti a consegnarci a tale orrore». Ventura riconosce che vi siano delle vie intermedie – grazie a Dio, aggiungeremmo – ma nessuna di queste secondo lui «prevede la sopravvivenza della civiltà borghese», che dunque dovrebbe essere estirpata per far sopravvivere l’intero Pianeta. Il docente e scienziato Franco Battaglia di recente su “la Verità” ha provato ad opporsi a questa mentalità dominante che fa del “climate change” la vera ideologia del presente e del futuro: «Negli anni Settanta del secolo scorso, quando erano ormai 30 anni che il clima del pianeta rinfrescava, scienziati e media allarmavano il mondo intero per una, a sentir loro, imminente era glaciale. Poi, dal 1980 il clima cominciò a riscaldarsi di nuovo e l’allarme fu allora per il global warming, tenuto in vita per alcuni anni, circa 15, direi. Sì, perché dopo il 1999, e per una dozzina d’anni, le temperature si sono mantenute pressoché costanti e ciò sebbene le emissioni aumentassero senza sosta: il riscaldamento globale s’era interrotto! Dovettero cambiare nome, e così nacque il climate change». Sforzarsi per cambiare le condizioni di sostenibilità per la vita di tutti è un’opera tutt’altro che sbagliata: agitare il popolo con provocazioni “talebane” forse non è la miglior ricetta possibile…

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