Lascia sempre un po’ perplessi quel sovrappiù di spezie – sottolineato in questo caso addirittura dalla considerazione personalissima su quali fossero gli aspetti “mediatici” più pepati della vicenda – con cui a volte anche magistrati di chiara fama e lungo corso come il procuratore di Milano Francesco Greco condiscono il racconto delle loro inchieste. Come quella per corruzione che ieri ha replicato imperterrita come in un déjà vu – a 26 anni dallo scoppio di Tangentopoli – il piatto forte del menù inquisitorio delle toghe italiane. Ma non servono spezie – in realtà – per rendere indigesto questo piatto in realtà sempre disgustoso della corruzione politica permanente in cui naviga il Paese.
La retata con cui la Procura di Milano ha fatto irruzione nella vita quotidiana di questa corruzione permanente – micro e macro – della politica lombarda lascia interdetti: non solo per la gravità degli episodi contestati, che in molti casi appaiono oggettivi e inoppugnabili, quanto per la loro banalità.
Una banalità del male civico che poi, per paradosso, è nel contempo anche la denuncia disperata di quanto Mani pulite non sia mai finita e di quanto Mani pulite non sia mai servita. Mai servita a niente, se è vero – com’è vero – che il malcostume continua. E non si può nemmeno dire “continua impunito”, perché un po’ di punizioni periodicamente sono state impartite, ma appunto non sono servite. Non servite di lezione.
Non serve di lezione però neanche la voluta ambiguità con la quale – sia pur rispondendo a una domanda – il procuratore ha apparentemente escluso Attilio Fontana, governatore leghista della Lombardia, dall’inchiesta per corruzione, definendolo parte offesa ma ha poi aggiunto che è in corso la valutazione circa la legittimità dell’incarico affidato al suo ex socio di studio Luca Marsico – un incarico da poco più di 10mila euro l’anno – nel nucleo di valutazione degli investimenti della Regione. Se è in corso di valutazione, e dunque non ha portato ad una iscrizione nel registro degli indagati, perché parlarne, e parlarne ieri?
“Questo nuovo episodio è emerso nel corso dalle recenti indagini, è in corso una valutazione da parte nostra”, ha spiegato Greco. “Il socio di studio di Fontana – ha spiegato Greco – ha ottenuto un piccolo incarico in Regione Lombardia e stiamo verificando se questa procedura di gara è regolare. Stiamo verificando la sua posizione” perché bisogna guardare “lo spessore dell’incarico” dato a Marsico.
A onore del vero Greco ha poi sottolineato un dettaglio della vicenda prezioso per Fontana, dicendo che il governatore non avrebbe avuto l’obbligo di denunciare perché poteva non essere sicuro che quello subito da parte di Gioacchino Caianiello fosse un tentativo di corruzione. E – si potrebbe aggiungere – perché avendolo subito a sorpresa e senza aver potuto attrezzarsi per registrare le profferte, non avrebbe nemmeno potuto provare un’accusa…
Resta il fatto che oggi tutti i giornali accostano all’inchiesta lombarda, con i suoi oltre 90 indagati, le sue manette e le sue disposizioni cautelari varie, anche il nome di Attilio Fontana, il tutto a quindici giorni dalle elezioni europee. Giustizia a orologeria? Magari: la molla dell’orologio giudiziario è rotta, anzi non c’è proprio, e i tempi reali della macchina delle Procure e dei Tribunali sono, in verità, dei tempi surreali, ormai del tutto decorrelati dai tempi della vita vera, politica compresa, se si considera che questo losco figuro di Caianiello era già stato condannato definitivamente nel 2017 a 3 anni per una concussione del 2005.
Chiaro? Un reato commesso nel 2005 viene sanzionato dopo dodici anni! E questa sanzione è talmente considerata dall’ambiente politico, che i vertici di Forza Italia non trovano di meglio che nominare il condannato coordinatore! Come del resto i vertici della Lega non hanno trovato di meglio che nominare sottosegretario ai Trasporti uno come Siri, titolare di un patteggiamento di un anno e otto mesi per una bancarotta fraudolenta, che non è precisamente una medaglia al valore: può essere l’infortunio di una persona perbene, ma in tal caso molto inesperto per non dire incapace; oppure è un comportamento criminale, sufficiente forse a escludere chi se ne sia macchiato da incarichi di tale responsabilità.
Nell’Italia della morale debole, una condanna invece è un fregio, una decorazione. Le Procure indagano e spiattellano i contenuti delle loro indagini prima che diventino sentenze, con buona pace della presunzione d’innocenza; i tribunali dopo dodici anni sentenziano, e nel frattempo il Paese va a rotoli.