Qualcosa non quadra nella rete di arresti in Lombardia, a venti giorni dalle elezioni europee e a due settimane dal “caso Umbria”. Ma non si tratta solo delle circostanze temporali, quanto della persistenza di notizie che si ripetono da ventisette anni. Tutto sembra testimoniare la continuità strutturale di una illegalità diffusa, che riesce sempre a riemergere, a ricostituirsi, e che nessuna indagine riesce a debellare. A ventisette anni da “Mani pulite”, che ha gettato nella spazzatura un’intera classe dirigente, nel pieno trionfo dei partiti sviluppatisi “fuori e contro l’establishment” come annota Sabino Cassese, i titoli dei giornali italiani delle ultime due settimane sembrano riprodurre quelli del 1993.



Eppure, anche in questo caso, l’apparenza inganna. Nulla in realtà è più come prima: tra oggi e quelle prime indagini ci sono di mezzo i condannati ed i prosciolti, le carriere distrutte e le vite perse in quasi tre decenni di indagini. Non è possibile procedere ignorando quanto è accaduto.

Da questa lunga ed insopportabile storia sono derivate almeno due velenose conseguenze.



La prima è quella di un’amministrazione completamente bloccata, di un’Italia resa invalida dalla paura di decidere e di investire. Dove il sindaco della capitale ha preferito, poco più di un anno fa, non candidare la città di Roma per le Olimpiadi, temendo un’ondata di interessi illeciti di ampiezza tale che ha percepito (probabilmente non senza ragioni) di non poter controllare. Il che equivale, più o meno, a “gettare la spugna”.

La seconda è data da una delusione diffusa e, oramai, definitivamente consolidata, in base alla quale se ventisette anni fa ci potevamo illudere che, affidando alla magistratura il potere di spazzare via i corrotti, tutto si sarebbe risolto, oggi un simile desiderio ci è precluso. Sembra esistere un rapporto abbastanza evidente tra il “malaffare” ed una concezione cinica e disincantata della vita sociale. Una sorta di “così fan tutti”, dove ogni altra visione delle cose sembra essere semplicemente illusoria.



Ma se entrambe queste constatazioni sono vere, non risulta forse che la grancassa mediatica non aiuti minimamente le indagini, ma serva solo a sfruttarle per favorire gli interessi della parte avversa? Di più: non è, forse, proprio il carattere volutamente invasivo e spettacolare delle indagini e degli arresti, a dimostrare che non se ne esce fuori e, proprio come la Palermo degli anni settanta del secolo scorso, è l’intera Italia politica, riprendendo Sciascia, a rendersi “irredimibile”?

Ventisette anni di terremoto permanente, con partiti affondati, teste saltate ed uno stuolo interminabile di indagati, dei quali oltre i due terzi si sono rivelati estranei, oltre ad una reazione ed una rabbia antisistema sempre meno governabile, non sono forse un motivo sufficiente per rivedere il percorso inquisitorio?

In modo ancora più chiaro, non c’è forse da rivedere il nuovo codice di procedura penale, restituendo alle Procure il diritto/dovere al silenzio, smettendola definitivamente con le luci e le telecamere? Non sono forse più che sufficienti questi lunghi ed estenuanti anni di un simile circo mediatico a dimostrarne l’assoluta gratuità; che non è ovviamente quella della indagini, ma certamente quella della grancassa con le quali sono amplificate e che fa di ogni avviso di garanzia un principio di condanna, coprendo ciascuno di un discredito a priori, dal quale farà una fatica infinita a liberarsi, anche quando sarà prosciolto?

A chi ha giovato una tale democrazia inquisitoria? Possiamo esser certi che non ha favorito il contenimento dell’illegalità ma solo l’estensione di una cultura del sospetto, tanto più insopportabile quanto più immediatamente pubblicizzata. Né tantomeno ha favorito l’immagine dell’Italia sul piano internazionale, costantemente discreditata da una tale masochistica pubblicità. Il punto di arrivo è abbastanza eloquente e non appare entusiasmante. Sarebbe ora di uscirne fuori, definitivamente; altrimenti i danni saranno irrecuperabili e, debito pubblico o meno, consegneremo ai nostri figli un paese distrutto.