È incredibile come il 1992 continui ad essere di attualità, per tutto ciò che avvenne all’ombra di quella che ormai possiamo definire “operazione Tangentopoli”. Ma attenzione, è solo attualità storica, che ha già fatto i suoi danni all’Italia. E sinora sono stati danni insanabili.
Due giorni fa, mentre Il Riformista si accingeva a cambiare direttore, Piero Sansonetti riservava ai suoi lettori un titolo che definire “pesante” è poco. Eccola l’apertura a tutta pagina: “Nel ’92 fu colpo di Stato. Le clamorose rivelazioni dell’ex pm Colombo”. E quindi, un “occhiello”, come si dice in gergo giornalistico, al “tritolo”. “La Procura propose la resa alla classe politica (alla Dc?) offrendo impunità in cambio di dimissioni”.
La novità non sta certamente nella dizione “colpo di Stato”, che è stata usata tante volte in tutti questi anni, dove ci si è comunque ben guardati dal fare una delle tanto abituali “commissioni d’inchiesta” italiane. In genere inutili, ma in tutti i casi con la possibilità di raccogliere qualche informazione ulteriore rispetto ai continui comizi molisani di Tonino Di Pietro e agli interventi da gelido inquisitore di Piercamillo Davigo sugli schermi televisivi.
Si specificò puntualmente, da diverse parti, che il colpo di Stato, nella “operazione Tangentopoli”, aveva un preciso carattere mediatico-giudiziario e alle sue spalle si agitava una serie di personaggi che appartenevano a quella pattuglia italiana di “capitani di sventura”, imprenditori falliti, e sempre a capo di un capitalismo familistico “basato sulla spesa pubblica”, e naturalmente “padroni di giornali”, cioè quelli che in tutto il mondo democratico, di lunga data, vengono bollati come “editori impuri”.
Ma bisognava aggiungere anche la mano di qualche servizio straniero, che, con l’Italia alla vigilia dell’ingresso nell’Unione Europea, con il Trattato di Maastricht, doveva rivedere molte questioni sulla sua struttura economica, magari eliminando la grande industria pubblica, che era una cornice della media e piccola impresa italiana, molto brillante anche sul mercato estero, rispetto alla catastrofe dei grandi capitalisti “di famiglia” che preparavano una sorta di “fuga all’estero”.
Chissà se qualcuno ricorda ancora lo scempio delle privatizzazioni che persino la Corte dei Conti, anche se solo nel 2007, giudicò in alcune occasioni fatte e realizzate con tratti poco chiari all’ombra delle grandi banche anglo-americane che curarono tutta la gestione di privatizzazione.
Quando si fa un bilancio complessivo di Tangentopoli vengono in mente le parole di Sergio Moroni scritte, prima di suicidarsi, a Giorgio Napolitano allora presidente della Camera. “Non mi è estranea la convinzione che forze oscure coltivino disegni che nulla hanno a che fare con il rinnovamento e la pulizia”.
Ma tante frasi di quegli anni vengono in mente come un puzzle che avrebbe bisogno solo di essere spiegato e ben delineato nel tempo, cosa che molti si rifiutano di fare. In quei primi anni Novanta, Paolo Cirino Pomicino, che poi finì pesantemente coinvolto in Tangentopoli, si sentì dire dall’attuale cittadino “svizzero” Carlo De Benedetti: “Vuoi fare il ministro di un nuovo governo?”. Pomicino trasecolò.
Sempre nel 1992, verso l’autunno, il prefetto Vincenzo Parisi, capo della polizia, aveva proposto, data la situazione sempre più tesa, un incontro tra Di Pietro e Bettino Craxi. In un libretto Craxi ricorda che purtroppo quell’incontro slittò perché Parisi era stato impegnato a “salvare” dalla giustizia francese un personaggio italiano di notevole peso (un imprenditore) da uno scandalo che avrebbe suscitato un pandemonio. Solo per la cronaca, ci furono poi voci piuttosto strane sulla altrettanto “strana morte” di Parisi.
Ci sono state anche una quantità di voci che si possono definire minori per comodità, ma negli anni Duemila arrivò pure una dichiarazione del capo del pool di “Mani pulite”, Saverio Borrelli: “Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale”. A chi non possono cadere le braccia di fronte a tutto questo? Dopo tutto quello che era successo?
Ritorniamo quindi al “botto” del Riformista. Enzo Carra, giornalista e politico democristiano, morto il 2 febbraio scorso, ha lasciato un manoscritto al suo amico Vincenzo Scotti. Per umiliarlo, Enzo Carra fu portato in manette come fosse un killer durante un’udienza di Tangentopoli, proprio a un anno dall’inizio dell’inchiesta, neanche i magistrati festeggiassero un compleanno.
Nel manoscritto ci sono dichiarazioni, risposte e una piccola introduzione dell’ex pm Gherardo Colombo, uno di punta del pool di “Mani pulite” e inoltre un avversario dichiarato di Giovanni Falcone all’interno della magistratura. Fatto che gli rimproverò Ilda Boccassini quando Falcone fu ucciso a Capaci.
Ma andiamo con ordine. Che cosa dice Colombo nel manoscritto di Carra? Ecco una frase significativa di uno che sembra convertito a uno strano garantismo dopo aver contribuito a mettere a soqquadro l’Italia: “Eppure non una persona sarebbe andata in carcere se, come suggerito nel luglio del 1992, ben prima (data la rapidità dell’evolversi degli eventi) della nomina di Martinazzoli, la ‘politica’ avesse scelto di seguire la strada dello scambio tra ricostruzione dei fatti ed estromissione dal processo. Chi avesse raccontato, restituito e temporaneamente abdicato alla vita pubblica non avrebbe più avuto a che fare con la giustizia penale”.
Insomma il famoso pool, rivela Colombo, avrebbe proposto un baratto per liquidare cinque partiti democratici, in silenzio, e dare vita a un governo tutto da immaginare, ma soprattutto con qualche magistrato impegnato direttamente e gli “amici degli amici” che volevano un cambiamento radicale della prima repubblica basata sui partiti, le loro coalizioni, i loro dibattiti e anche i loro contrasti in un clima democratico.
Ci si chiede come mai Colombo si sia indirizzato verso questa strada tanto diversa dal clima politico-giudiziario del 1992. Ci si chiede come abbia partecipato a un’ipotesi di reato con un baratto che dimenticava l’azione penale obbligatoria nel codice del fascista Alfredo Rocco.
Insomma per passare dalla prima alla cosiddetta “seconda repubblica” si doveva imboccare una trattativa illegale.
Non basterebbe questa dichiarazione del “pentito” Colombo a rimettere in discussione tutto quello che è avvenuto in questi trent’anni?
Ovviamente, rispetto a queste clamorose rivelazioni, non accadrà nulla. La repubblica, la prima, quella che era cresciuta dal dopoguerra fino a diventare la quarta potenza industriale del mondo, è morta. Oggi l’Italia vive più impoverita e in uno stato di confusione inquietante, all’ombra di una crisi istituzionale democratica dove a votare va circa il 50 per cento degli aventi diritto. I partiti non esistono più e gli unici rimasti hanno i “nonni” che erano comunisti o fascisti. La magistratura ha perso quasi tutta la sua credibilità, ma si prepara alla battaglia contro la riforma del guardasigilli Carlo Nordio.
Presto anche la memoria in Italia andrà, come al solito, in “pensione” e forse anticiperà la “pensione” generale dell’Italia intera.
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