La scorsa settimana il Presidente Conte ha annunciato la costituzione di un comitato di esperti incaricato di elaborare e proporre misure necessarie per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, nonché per la ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive, anche attraverso l’individuazione di nuovi modelli organizzativi e relazionali, che tengano conto delle esigenze di contenimento e prevenzione dell’emergenza.



Il comitato, composto da diciasette personalità del mondo economico e sociale, risponde direttamente ed esclusivamente al presidente del Consiglio. L’istituzione del comitato di (super) esperti ha già suscitato l’attenzione dei commentatori che hanno notato come esso appaia l’ennesimo atto di esauterazione degli organi costituzionali, sotto un duplice profilo. E infatti – si è notato – le aree di competenza coperte dal comitato sembrano sovrapponibili a buona parte di quelle dell’intero consiglio dei Ministri.



Siedono al tavolo del comitato esperti di economia, psicologia e fiscalità; il presidente del Consiglio ha quindi selezionato un ventaglio di competenze del tutto diverse da quelle “scientifiche” che, sin qui, hanno indirizzato le scelte della fase 1. Soprattutto le competenze in capo economico, sociale e giuridico sarebbero state facilmente surrogabili attingendo al bagaglio di risorse umane e specializzazioni di cui ciascun Ministero è dotato. Paradossalmente, il presidente del Consiglio avrebbe potuto coinvolgere in via consultiva addirittura il Cnel, consentendogli un’inaspettata riscossa nella storia repubblicana.



La verità è che l’istituzione della task force è perfettamente in linea con il modo in cui Giuseppe Conte ha finora inteso svolgere le funzioni associate alla carica di presidente del Consiglio. Egli si è presentato, da subito, come avvocato del popolo e come figura di garanzia del “contratto” alla base del fu governo giallo-verde. Al di là delle metafore, le caratteristiche forensi del suo approccio si sono però manifestate concretamente nel metodo di lavoro e di governo.

È infatti tipico dell’avvocato non esprimere compiutamente la propria posizione, né con il cliente, né con la controparte, senza una adeguata istruttoria, vale a dire senza aver raccolto tutte le informazioni possibili sulla situazione affidatagli o recepito tutti i pareri o valutazioni tecniche che gli appaiano necessari. Tuttavia, il rovescio della medaglia è la ritrosia all’assunzione di una decisione: l’avvocato suggerisce, ammonisce e caldeggia una o più soluzioni, talvolta incoraggia il cliente, ma non ne sostituisce mai la volontà. Infine, quando ogni via alle trattative è interrotta, la decisione viene rimessa semmai a un terzo, sia esso un giudice o un valutatore tecnico.

La descrizione rischia di apparire macchiettistica ed è senza dubbio parziale. È utile tuttavia per rintracciare gli elementi della fortuna politica di Giuseppe Conte e i suoi limiti.

Rispetto al dilettantismo che affligge l’attuale classe politica, il nostro presidente del Consiglio ha sfoggiato effettivamente compostezza e, con la sua preparazione, ha evitato sfondoni e gaffe che hanno reso celebri molti suoi predecessori. Ugualmente, è indiscutibile la capacità del Premier di costruire soluzioni, mediando tra punti di vista radicalmente diversi.

In sintesi, il tratto di governo del Presidente Conte è individuabile nella profondità della fase istruttoria e nella mediazione in fase decisoria. A mancare è la capacità di esprimere una linea di Governo propria e di dirigere, come la Costituzione richiederebbe, la “politica generale del Governo”.

Ciononostante, finché i poli della dialettica sono le posizioni delle forze di maggioranza, la mediazione svolta dal Premier mantiene natura politica e quindi nel quadro costituzionale e nel tracciato delle prerogative del presidente del Consiglio. Con la costituzione del comitato per la task force, tale equilibrio sembra però spezzarsi.

Infatti, pare che la fase decisoria si stia schiacciando sulla fase istruttoria. In altre parole, c’è da chiedersi se le decisioni dell’organo politico saranno prese alla luce delle valutazioni del comitato o saranno un mero recepimento di queste ultime. Nel secondo caso, evidentemente, le indicazioni del comitato si sostituiranno alla scelta politica.

In verità, il comitato della task force sembra, in filigrana,  atteggiarsi proprio come “sottogoverno” tecnico. Un tale ruolo sarebbe, peraltro, perfettamente funzionale al tentativo di sterilizzazione, o quanto meno, superamento della dialettica politica in corso che, in considerazione del ruolo delle autonomie territoriali, vede coinvolti molteplici centri decisionali. Troppi i centri di potere e troppe le teste da convincere. Le scelte della Fase 2 vengono allora sottratte al dibattito politico e sostanzialmente delegate a un comitato di tecnici.

Anche in questo caso, il tentativo sembra frutto della deformazione professionale del presidente del Consiglio; l’avvocato ricorre alla decisione di un soggetto terzo (un giudice o un valutatore tecnico) quando non sia più raggiungibile con la trattativa alcuna mediazione o soluzione. L’elemento critico è che, stavolta, lo strumento di soluzione dell’impasse scelto da Giuseppe Conte ha una legittimazione popolare assolutamente flebile. Il comitato della task force è, infatti, privo di qualsiasi collegamento di rappresentanza politica con il corpo elettorale.

La circostanza ha rilievo sostanziale, in quanto chi non ha legami con l’elettorato è in genere poco incline ad ascoltarne le ragioni e non risponde politicamente del proprio operato. Ciò può rappresentare un vantaggio, perché evita le tentazioni della ricerca di un consenso elettorale; tuttavia, data la natura formalmente consultiva della task force, l’assenza di responsabilità politica non è bilanciata da una responsabilità giuridica adeguata e proporzionata al ruolo che, impropriamente, il comitato è chiamato a svolgere sul piano politico.

Siamo quindi di fronte a una sorta di cortocircuito: gli organi politici tentano di spogliarsi delle proprie responsabilità per affidarle a un soggetto che non ne può avere alcuna. Una sorta di breakdown del sistema, appunto.

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