Fra gli investitori internazionali colpiti dalla tassa sugli extraprofitti bancari decisa dal Governo italiano vi sarà certamente Norges: il gigantesco braccio d’investimento della Banca centrale di Norvegia. È di fatto il fondo sovrano/sovranista del Paese scandinavo, creato trent’anni fa per gestire i ricavi dello sfruttamento di gas e petrolio a beneficio del welfare di 5 milioni di norvegesi. Norges ha 1.300 miliardi di dollari di patrimonio investito in 9.300 società di 70 Paesi. Fra queste vi sono UniCredit (con una quota del 2,65% all’ultima assemblea, in passato un pacchetto confrontabile era noto in Intesa Sanpaolo); Banco Popolare (3% secondo il sito Consob) e Bper Banca (5,1%).



È anche a Norges che la tassa straordinaria italiana andrà – per ora sulla carta – a togliere una parte dei dividendi alimentata da quelli che il Governo giudica “extra-profitti”: quelli realizzati dalle banche italiane grazie al forte rialzo dei tassi d’interesse progressivamente attuato dalla Bce per contrastare l’inflazione, causata (anzitutto) da guerra e sanzioni.



L’aumento dei tassi ha colpito in pieno e in tempo reale le imprese e le famiglie italiane debitrici di mutui; e non ha invece per nulla favorito le famiglie titolari di risparmio liquido in banca, che rimane finora senza remunerazione. Ed è a questo “margine d’interesse” gonfiato dalla spirale inflazione/tassi che guarda il prelievo una tantum.

La macro-dinamica della politica monetaria restrittiva sfociata negli extra-profitti bancari ha all’origine una bolla dei prezzi forte, rapida, prolungata e generalizzata anzitutto sul mercato di gas e petrolio: quello sul quale la Norvegia è un big player (unico europeo nella Top 10 globale del gas). E gli “extraprofitti” realizzati da Oslo grazie alla guerra erano definiti “imbarazzanti” già un anno fa da una fonte insospettabile come l’Economist; mentre a fine luglio Forbes si chiedeva in un titolo: “Cosa farà la Norvegia di 170 miliardi di dollari di guadagni da gas e petrolio“?. Tutto questo quando l’ex Premier norvegese Jens Stoltenberg è stato ulteriormente prorogato alla Segreteria generale della Nato: il quartier generale di retrovia della “guerra inflazionistica” fra Ucraina e Russia. E quando Oslo (che non fa parte dell’Ue) sta resistendo in ogni modo a ogni sollecitazione internazionale a mostrare solidarietà economica-finanziaria verso i Paesi occidentali in trincea con Kiev.



La porzione dei 2,5 miliardi di euro che il fisco italiano vuole prelevare dalle banche italiane avrà dunque come obiettivo ed effetto anche quello di “richiamare” una parte dei profitti che la Norvegia preleverebbe da una banca basata in Italia e operante in misura rilevante con risparmio italiano intermediato in credito su imprese italiane. Profitti totalmente speculativi realizzati a spese di risparmiatori, imprese e cittadini italiani, grazie a una dinamica geoeconomica inflazionistica di cui la Norvegia si è ritrovata a beneficiare in seguito a una guerra che un politico norvegese si ritrova da un anno e mezzo ad alimentare e incitare quotidianamente.

Non ci sarebbe da stupirsi se Norges fosse tra quelli che hanno sollecitato un’immediata e violenta Lex del Financial Times, corredata da una foto-bersaglio della Premier Giorgia Meloni assieme al Vicepremier Matteo Salvini. Nè è inverosimile che i grandi fondi internazionali abbiano subito pensato di ripagarsi in anticipo la mossa del Governo italiano prima abbattendo i titoli bancari italiani in Borsa e poi ricoprendo le posizioni ieri. Non senza aver consentito ai media italiani di titolare: “I mercati bocciano palazzo Chigi”. Anche se lo spread è fermo in area 170. Mentre l’Europa, per una volta, tace.

P.S.: Lo “shitstorm” mediatico agitato da FT contro la “windfall tax” italiana sulle banche è continuato incessante ieri. Per tutta la giornata il titolo principale sulla homepage ha forzato la cronaca parlando di “ritirata” del Governo italiano, mentre alla Lex di martedì si sono aggiunti due nuovi commenti critici. È evidente l’allarme rosso dei mercati sulla prospettiva che la mossa italiana – su cui per ora Ue e Bce hanno mantenuto silenzi eloquenti – possa essere copiata da altri Paesi dell’Unione (e forse dalla stessa Gran Bretagna, dove il dossier “caro-mutui” è bollente). In tutti i grandi Paesi dell’Occidente il sistema bancario ha ricevuto massicci aiuti pubblici, dal 2008 a oggi: nessuna pretesa di “restituzione” ai contribuenti, quindi, potrà mai essere considerata politicamente scorretta.

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