Come sappiamo il governo ha già predisposto una posticipazione del secondo acconto IRPEF che, a regola, sarebbe stato corrisposto dalle partite Iva entro il 30 novembre di quest’anno. E invece grazie a un decreto attuativo e all’accoglimento della normativa in legge di bilancio, l’acconto Irpef viene posticipato al 16 gennaio 2024 con possibilità di rateizzazione in 5 rate mensili. Esistono però dei requisiti per comprendere se la dilazione può essere accolta: vediamo nel dettaglio chi potrebbe essere escluso e perché.



Tasse a rate 2024: come si valutano i requisiti per la dilazione

Le disposizioni sulle modalità di rateizzazione sono state inserite nella circolare 31/E pubblicata dall’agenzia delle entrate ai sensi dell’articolo 4 del decreto legge 145/2023, in vista della scadenza del pagamento previsto per il prossimo 30 novembre che prevede anche un interesse dello 0,33% per chi dilaziona.



La dilazione del secondo acconto viene applicata alle partite Iva che nell’anno fiscale precedente hanno avuto ricavi per 170 mila euro. Questo però solo in linea generale. Andando nel dettaglio infatti, comprendiamo che esistono delle categorie che non possono godere della rateizzazione ma solo della posticipazione da novembre a gennaio.

Per la verifica del requisito dei 170mila euro di ricavi e compensi, le persone fisiche che esercitano attività agricole o attività connesse (come agriturismi) e che siano anche titolari di reddito d’impresa in luogo dei ricavi devono considerare l’ammontare del volume d’affari (campo VE50 del modello di dichiarazione Iva 2023). Invece, tutti coloro che non rientrano in queste categorie e dunque non sono tenuti alla verifica dei 170 mila euro, devono semplicemente presentare l’ammontare delle fatture e corrispettivi.



Tasse a rate 2024: interessi e motivi di esclusione

Come già detto, chi dilaziona deve corrispondere uno 0,33% aggiuntivo ogni mese. Le disposizioni sugli interessi non sono soltanto contenute nel decreto legge 145/2023 all’articolo 4, ma anche all’articolo 20 comma 2 della legge 241/1997 che corrisponde al 4% all’anno (vale a dir 0,33% al mese, esattamente quanto è stato stabilito all’interno del decreto anticipi).

Nella circolare in commento infatti viene chiaramente specificato che proprio con riferimento o all’impresa familiare e all’azienda coniugale, non gestita in forma societaria, in forza della loro natura individuale, non possono fruire del rinvio del versamento in esame i collaboratori familiari e il coniuge del titolare d’impresa stessa (salvo che non siano, a loro volta, titolari di partita Iva).