Il decreto sul cuneo fiscale rappresenta un provvedimento provvisorio della durata di 6 mesi, ma destinato, nelle intenzioni del Governo, a essere confermato nei suoi effetti anche nel 2021.
In buona sostanza si tratta di un ampliamento della platea, e dei benefici, degli 80 euro del Governo Renzi, peraltro a suo tempo criticati da buona parte dell’attuale maggioranza, destinati ai lavoratori dipendenti. Per tutti coloro che hanno un reddito tra gli 8.000 e i 26.000 euro annui, da luglio ci sarà un’integrazione dell’attuale bonus mensile di ulteriori 20 euro. Per quelli aventi un reddito superiore, e fino a 40.000 euro annui, con tutta probabilità, si tratterà di una detrazione a scalare in base al reddito.



La scelta più volte ribadita dal Governo in carica è stata quella di privilegiare il lavoro dipendente allargando la platea dei beneficiari del bonus Renzi sino a 16 milioni, con l’obiettivo di aumentare i salari netti e stimolare i consumi. Obiettivo rispettabile anche se, come sottolineato da molti esperti, la politica dei bonus produce delle discutibili discriminazioni tra lavoratori dipendenti e altre categorie di contribuenti, falsa di fatto i criteri di progressività dell’imposizione fiscale sulle persone fisiche (Irpef) e non tiene conto dei redditi familiari.



Molti esponenti della maggioranza hanno sollevato questi problemi. Lo stesso presidente del Consiglio promette che il taglio del cuneo va considerato come una sorte di anticipazione di una più ampia riforma dell’Irpef finalizzata a ridurre la pressione fiscale sui ceti medi. Un proposito condiviso, a parole, da tutte le forze politiche della maggioranza, salvo constatare, dalle dichiarazioni rilasciate una notevole diversità di idee sul merito della riforma da intraprendere. Il M5S sembra orientato a ridurre il numero delle aliquote e a introdurre una sorta di quoziente familiare per ridurre la tassazione in rapporto ai carichi familiari. Sul versante opposto altre forze, soprattutto Italia Viva, propongono di aumentare il numero delle aliquote Irpef per evitare balzi eccessivi tra uno scaglione e l’altro, che rischiano di scoraggiare la crescita dei redditi ufficiali.



Quello che stupisce però è l’assoluta disattenzione per i vincoli di bilancio. Sembra una consuetudine, ma, puntualmente, le forze politiche appena spenti i fari sulle leggi di stabilità approvate che da 9 anni a questa parte trasferiscono debiti a quelle successive con una caterva di clausole di salvaguardia da onorare con aumenti dell’Iva e delle accise (43 miliardi nei prossimi due anni), rimuovono il problema e rimettono in pista il gioco irresponsabile del “come sarebbe bello fare questo e quello”.

Nell’ordine, sono state messe in calendario, con tanto di incontri con le parti sociali: la riforma fiscale, la conferma delle pensioni anticipate, l’assegno unico per il sostegno dei figli, trascurando per il momento gli impegni assunti a destra e manca per sostenere le imprese in difficoltà o i programmi del green new deal. Sul come reperire le risorse per sostenere tali provvedimenti solo brevi accenni.

Non possono certamente mancare i buoni propositi di contrastare l’evasione fiscale, dagli introiti incerti e comunque già ipotecati dagli impegni di spesa già assunti. Oppure con la revisione delle detrazioni, salvo constatare che sono per la gran parte intoccabili dato che riguardano i carichi familiari, le spese sanitarie e la ristrutturazione degli immobili. Ogni buon proposito di ridurre le detrazioni si traduce di solito con un aumento, come avvenuto anche nella recente Legge di stabilità, per la finalità di incentivare le spese per le diverse tipologie di risparmio energetico, per agevolare l’occupazione o per ampliare il contrasto di interessi nella lotta all’evasione.

Alla fine, come sempre, prevarrà al momento opportuno il principio di realtà e si faranno le cose possibili. Purtroppo senza invertire la direzione di marcia e cioè la capacità di liberare risorse per sostenere gli investimenti e l’occupazione e la natalità. In questo senso la politica dei bonus, e dei provvedimenti sperimentali, non solo finisce per disperdere le poche risorse disponibili, ma rischia di consolidarle in modo irreversibile nella direzione sbagliata. Come già avvenuto per la quota 100 e per il reddito di cittadinanza.