Due giorni fa la sortita di Janet Yellen, Segretario al Tesoro nell’Amministrazione Biden, sulla necessità di fissare una corporate tax minima a livello globale per porre fine al turismo fiscale di holding industriali e finanziarie. Ieri è stato invece il Fondo monetario internazionale ad aprire un altro dossier macro-fiscale: suggerendo forme di solidarity tax per rimarginare le ferite aperte o aggravate ovunque dalla pandemia nel tessuto economico-sociale.
L’uno-due sul versante “Covid tax” non è del tutto inatteso e presenta forti connotati geopolitici. Come avvenne nel 1945, gli Stati Uniti e il Fmi (nato a Bretton Woods quando la Seconda guerra mondiale infuriava ancora in Europa e in Asia) vogliono rompere gli indugi e aprire la stagione della Recovery globale, mostrando chiaramente di volerne assumere la leadership. E parecchio geopolitica appare anche la scelta del terreno di gioco: la fiscalità è uno strumento consolidato nelle democrazie di mercato, a maggior ragione in funzione di redistribuzione sociale del reddito prodotto. Le tasse vengono pagate da cittadini-contribuenti in Stati di diritto, nei quali evasione ed elusione sono illeciti. E la “fiscalità internazionale” di cui il Fondo è archetipo è sinonimo di multilateralismo, non di “scontri di civiltà”.
L’ipotesi di lavoro della Yellen è chiaramente indirizzata a un nuovo “ordine economico” in cui la libera circolazione di capitali – cioè degli investimenti – non venga distorta da regimi tributari anomali e concorrenti. Un mondo in cui – quanto più possibile – globalizzazione voglia dire massimo accesso ai capitali da parte di iniziative d’impresa, non ossessiva gimcana alla ricerca dell’ultimo paradiso fiscale.
Più trasparente ancora il messaggio che giunge dal Fondo: non ci sono dubbi che gli effetti della pandemia assomiglino a quelli di una guerra (né manca tuttora chi sospetta che l’approccio della Cina al Covid sia stato “bellico”, anche solo nel ritardare le informazioni agli altri Paesi) . Non è accettabile, comunque, che dalla “guerra del Covid” escano “vincitori” e “vinti”: questo almeno pensa la Casa Bianca di Joe Biden. E questo pensa un’istituzione-bastione dell’Occidente come l’Fmi, al cui vertice la Cina ha tentato invano di installare un suo direttore generale (sarebbe stato il primo non euramericano) accettando alla fine la mediazione su Kristalina Georgieva (e sarà interessante vedere come modulerà l’idea di solidarity tax questa economista nata nella Bulgaria sovietica, emigrata poi ad Harvard prima di essere vicepresidente della Commissione Ue).
Prima della pandemia la Cina ha potuto esportare in via coloniale il suo “capitalismo di Stato” in Africa, tentando di penetrare anche in Europa e Usa. Ha giocato largamente sul “dumping” commerciale ma anche politico-sociale. Ha potuto eludere ogni confronto reale sullo stato di diritto (si trattasse di diritti umani o sindacali, di rispetto sostanziale degli Accordi sul Clima o di rinuncia reale alle pretese su Taiwan o a un espansionismo nell’area Asia-Pacifico non troppo dissimile da quello giapponese negli anni 30 del secolo scorso).
Le due proposte (tecniche) lanciate da Washington paiono dunque rilanciare quella che nella seconda metà del secolo scorso veniva chiamata “la sfida del mondo libero”: allora essenzialmente all’Urss, oggi a una Cina che sembra meno interessata di un tempo a marcare la distanza dal suo passato di autocrazia comunista. È invece un Dragone, quello di Xi Jinping, che sta già speculando senza remore sui paurosi squilibri socioeconomici provocati dalla pandemia nata a Wuhan.
Per le due “Covid tax” non mancano tuttavia robuste e coerenti prospettive di “fronte interno”. La prima guarda all’Europa entro la medesima dinamica del piano Marshall: anche se oggi l’Ue è evidentemente assai meno consapevole di quella del 1945 della necessità storica di avere nell’alleanza atlantica il proprio asse geopolitico privilegiato (basti pensare alla resistenza finale di Angela Merkel sul progetto Nord Stream 2 verso la Russia piuttosto che ai giri di valzer filorussi e filocinesi dei governi Conte-1 e Conte-2 in Italia).
Certamente trasversale ai target Usa ed Europa appare invece la raccomandazione del Fondo di porre il contrasto alle diseguaglianze come priorità politica dei singoli governi – anche con forme di tassazione straordinaria patrimoniale – dopo un trentennio di iperliberismo finanziarizzante. Ed è su questo terreno che la prospettiva politica dell’amministrazione Biden (nata come reazione al quadriennio trumpiano) sembra saldarsi con quella profetica del magistero di Papa Francesco:.un mondo iniquo è un mondo a rischio crescente di autodistruzione. E se la civiltà democratica rivendica una sua superiore autorevolezza etico-politica questo è il momento di dimostrarlo. Sarà, non da ultimo, la questione all’ordine del giorno del G20 che si terrà a Roma il 30-31 ottobre, sotto la presidenza di Mario Draghi.
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