Oltre un anno fa il Prof. Forte su queste pagine delineava quelle che secondo lui dovrebbero essere le strade da seguire per una riforma fiscale. A oggi, se si dà credito alle indiscrezioni, nessuno dei suggerimenti, confermati anche in successivi interventi, sembra centrale nella proposta del ministro Franco. Il Governo e l’Agenzia delle Entrate sembrano muoversi secondo il vecchio schema. Lavorano per potenziare l’infrastruttura informatica che dovrebbe “semplificare” gli adempimenti dei contribuenti con l’obiettivo di ridurre il tax gap. Del tutto trascurate le considerazioni dell’ex ministro Visco che ha evidenziato le sue perplessità sulla reale efficacia del fisco telematico.



Quello auspicato, dunque, è un risultato “ambizioso” ma “vecchio” e viene delineato oggi come conseguibile seguendo due strade. La prima passa per l’incentivazione dell’adempimento spontaneo (compliance) del contribuente che sarà “invitato” a chiarire le incongruenze tra quanto dichiarato e quanto versato al fisco. La seconda strada, invece, passa per il potenziamento dell’analisi dei big data che dovrebbe migliorare la selezione dei soggetti da controllare.



Risponde all’esigenza di rafforzare la compliance il varo della precompilata Iva che verrà attuata in due steps: a settembre si avranno i registri Iva precompilati, mentre a febbraio 2023 arriverà la dichiarazione annuale Iva. In questa direzione va anche il potenziamento degli organici della Pubblica amministrazione che dovrà rispondere anche alla sfida del cambio generazionale in corso. Sono state previste nuove assunzioni, da completarsi entro il 30 giugno 2024, con l’intento di rendere operativa la “riforma fiscale” e aumentare la capacità operativa dell’Agenzia dell’Entrate braccio operativo del Fisco. Dunque, la riforma fiscale in concreto sembra orientata verso un rafforzamento dell’esistente nell’auspicio che le inefficienze vengano colmate da più soggetti chiamati a operare. Questo approccio è stato criticato da Antonio Patuelli, Presidente dell’Abi, che rispondendo alla domanda su come dovrebbe essere rivisto il sistema fiscale ha chiaramente spiegato che in Italia gli utili delle imprese sono gravati dall’Ires e dall’Irap, nonché da varie imposte patrimoniali. Gli utili delle imprese che sopravvivono a tutte queste imposte, quando vengono distribuiti, cioè i dividendi, vengono ulteriormente tassati al 26%. Appare evidente a tutti, dunque, meno che al Mef, che il problema italiano non sta solo nel rafforzare l’organico dell’Agenzia delle Entrate ma nel riformare il sistema impositivo. La cartina di tornasole è esemplificata dalle difficoltà operative che incontra l’attuazione del superbonus al 110% per il quale sono stati emanati una mole enorme di interventi “interpretativi” da parte dell’Agenzia. È un problema di norme scritte male o è un problema di risorse indirizzate male che si cerca di reindirizzare?



Da anni l’evasione fiscale viene misurata nell’ordine di 100 miliardi. È possibile che viene misurata male o è probabile che l’eccessiva imposizione fiscale non favorisce l’emersione di materia imponibile?

A oggi, dunque, niente di nuovo se non l’affermazione che la riforma fiscale non si può fare a debito per cui bisogna attendere perché si possa fare. Nelle more che ciò avvenga la diversità che caratterizza la compagine di Governo pare concretizzarsi in una vera e propria lotta contro le aziende: difficoltà di imporre il green pass in azienda, il blocco dei licenziamenti, la quarantena non più a carico dell’Inps e da ultimo l’annunciato decreto con il quale si sanzioneranno le delocalizzazioni. Sul tema delle delocalizzazioni non si può che stigmatizzare l’approccio solo sanzionatorio che appare incomprensibile se non si affronta, per risolverlo, il tema del perché le aziende delocalizzano. Senza una riforma del fisco e del mercato del lavoro sempre più aziende si trasferiranno oltre confine anche all’interno della Comunità europea dove esistono condizioni fiscali e del mercato del lavoro che fanno concorrenza al sistema produttivo italiano.

L’evidente contraddittorietà che caratterizza l’azione del Governo trova conferma nella nuova disciplina delle crisi di impresa. Chi la propone sembra avere chiaro che il sistema produttivo italiano è in crisi. Allora viene spontanea una domanda: perché si procede come sempre in maniera disorganica senza operare un coordinamento degli interventi che finiscono per essere inefficaci? Rimane del tutto trascurato il tema delle aziende che hanno in corso piani di risanamento la cui attuazione è messa in dubbio e/o rallentata dalla crisi economica innescata dal Covid.

È auspicabile una sintesi che solo l’autorevolezza del Prof. Draghi può dare. La classe politica e la Pubblica amministrazione sono incapaci di varare l’adozione di interventi strutturali che rimuovano il freno allo sviluppo della nostra società. Nelle more che la coscienza politica si formi riparte la notifica delle cartelle sospese e diviene dirompente il tema delle rate sospese da marzo 2020 che dovranno essere versate per non perdere il beneficio della dilazione.

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