Un recente post su Facebook del viceministro dell’Economia, Laura Castelli,  su famiglie, reddito di cittadinanza e coefficiente familiare è una buona occasione per riflettere sul rapporto tra fisco e famiglia. E offre lo spunto per inserire nelle riflessioni anche il recente intervento di taglio sul cuneo fiscale (la revisione del famoso “bonus 80 euro”), nonché la ventilata riforma dell’Irpef o  l’idea di un Family Act più organico – senza dimenticare i vari impegni a favore di un “assegno unico” (o universale) per la famiglia/il figlio, progetto che anche il Forum delle associazioni familiari ha tenacemente proposto in questi due anni alla politica, in risposta al drammatico inverno demografico, ottenendo grandi consensi di principio, ma anche ben pochi risultati concreti.



Ma torniamo al post del viceministro Castelli (del 20 gennaio, molto recente, quindi, anche se sul web è già un po’ datato), prima di tutto per esprimere un apprezzamento: non era scontato che nell’agenda dei vertici del ministero dell’Economia il tema dell’equità familiare venisse indicato come una priorità. Castelli ricorda che “c’è un aspetto sul quale abbiamo insistito molto mentre costruivamo il reddito di cittadinanza: il numero di componenti del nucleo familiare avrebbe dovuto ‘pesare’, ovvero influire sull’importo erogato. È un principio nel quale credevamo e crediamo fermamente, quello del coefficiente familiare, affinché le famiglie più numerose ricevano un supporto congruo rispetto alle loro esigenze. Un modello che riprenda i principi di equità e proporzionalità espressi nella nostra Carta costituzionale”.



Peccato che questa affermazione non abbia avuto reale riscontro nell’applicazione concreta del Reddito di cittadinanza; tutti i commentatori più competenti (e non solo quelli “amici della famiglia”) hanno infatti rilevato che oggi il reddito di cittadinanza penalizza in modo molto rilevante le famiglie con più figli. Per capirci, la differenza del Rdc tra un single e una famiglia con tre figli è troppo bassa, rispetto ai maggiori costi della famiglia con figli.

In effetti la Castelli sembra quasi volersi assumere un impegno in proposito, proseguendo così il suo post: “Vogliamo che questo principio sia alla base anche delle future riforme che come Governo porteremo avanti, per rimettere al centro il tema delle famiglie”. In qualche modo si ammette, quindi, che questo “favor familiae” fiscale è ancora tutto da costruire, e che con il Rdc questo obiettivo non si è raggiunto.



A questo punto, un ultimo pensiero, in merito al post in questione. So che chiedo troppo, ma mi sarebbe piaciuto leggere, tra le due frasi, anche un riconoscimento di errore, un’ammissione di imperfezione, una frase del tipo: “Purtroppo nella prima attuazione del Rdc non siamo riusciti a sostenere adeguatamente le famiglie con più figli; ma ci impegniamo a correggere questa criticità quanto prima”.

Lo so che nel dibattito politico attuale ammettere di aver sbagliato è davvero impensabile; però sarebbe stato un gesto di vera diversità, e di onestà intellettuale – oltre a costituire un impegno vero. Sarà per un’altra volta.

Rimane, in positivo, l’idea che l’attuale viceministro dell’Economia, esponente di spicco del Movimento 5 Stelle, sia davvero convinto che serve “rimettere al centro il tema delle famiglie”. Non ci resta che aspettare le prossime decisioni del Governo…

Purtroppo i primi segnali di queste settimane non sono particolarmente incoraggianti: proprio il taglio del cuneo fiscale in fase di approvazione (con qualche miliardo di risorse, intervento strategico, quindi) conferma la radicale concezione individualistica e non familiare, anzi, decisamente anti-familiare, che caratterizzava anche la prima versione del bonus (governo Renzi). Infatti l’aumento in busta paga riguarda solo il reddito individuale del lavoratore; così (siamo costretti a ripeterlo) un capofamiglia con tre figli con un reddito familiare superiore ai 40.000 euro non riceverà alcun bonus, mentre in una famiglia in cui ci sono tre lavoratori con redditi individuali di 25.000 euro (totale reddito della famiglia: 75.000!) entreranno tre bonus, di 1.200 euro ciascuno. In sintesi: al capofamiglia con tre figli a carico e 40.500 euro di reddito: zero bonus! Nella famiglia con tre lavoratori e reddito totale di 75.000 euro: più 3.600 euro di bonus! Davvero scandaloso, anticostituzionale, iniquo (e mi fermo prima di arrivare al turpiloquio).

Dispiace, infine, che su questo punto le forze sindacali non abbiano in alcun modo sollevato il problema; eppure sanno bene – dovrebbero, almeno – che i lavoratori hanno famiglia, e che il salario non può non avere “dimensione familiare” (Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” recita l’articolo 36 della Costituzione). Non basta diminuire il cuneo fiscale, se questa misura genera ulteriori danni a chi ha figli: altro che retorica dell’inverno demografico e dei vari piani natalità!

Un ultimo dato (simulazioni del Centro Studi Eutekne) conferma che i carichi familiari nel fisco italiano restano invisibili, anche quando si parla di “no tax area”, quella cifra cioè che non viene tassata perché si guadagna troppo poco per dover anche pagare le tasse. Secondo tali simulazioni, una volta applicati questi bonus, le diverse forme familiari avranno no tax aree differenziate: ad esempio, un lavoratore che vive da solo (una persona) avrebbe una no tax area (reddito annuo non tassato) di 12.508 Euro; più o meno 1.000 euro al mese, con cui una persona può provare a vivere dignitosamente (e già così non è proprio una passeggiata…). Se però questo lavoratore non vive solo, ma ha una moglie a carico, e in più ha fatto l’errore di mettere al mondo due figli, la sua no tax area arriva al massimo a 21.260 euro (se ha due bambini con meno di tre anni). Cioè, 1.770 euro al mese, per provare a vivere dignitosamente, però mantenendo quattro persone!

Basterebbero questi numeri per confermare che le famiglie nel nostro paese non possono aspettarsi granché dal fisco, quando decidono di mettere al mondo un figlio: né lo scenario è molto migliore se si pensa ai servizi per l’infanzia. E poi ci si sorprende perché la natalità continua a crollare!
Correggere questa situazione non è semplice, ma il problema non riguarda le proposte o i meccanismi: quoziente familiare, detrazioni fiscali, no tax area, assegno per i figli sono tutti strumenti attivabili. Ma nessuna di queste scelte verrà mai adottata senza la volontà politica di mettere la famiglia al centro dell’Agenda del Paese.

Per questo il post del viceministro Castelli rimane comunque una buona notizia: purché, anche per lei e per il partito a cui appartiene, si passi finalmente dalle parole ai fatti.

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