In un recente articolo avevo espresso seri dubbi riguardo la possibilità che l’attuale Governo in carica fosse in grado di portare a regime una qualsiasi proposta di riforma del sistema fiscale. Le perentorie promesse del Premier Conte e del ministro dell’Economia Gualtieri venivano di fatto accompagnate da una proliferazione di proposte e di intenti, tutte interne alle forze politiche della maggioranza parlamentare che sostiene l’esecutivo, palesemente incompatibili tra loro per finalità e impraticabili per l’entità delle coperture finanziarie necessarie.



Sulla base delle indiscrezioni che emergono dagli ambienti governativi, il proposito di riformare il sistema fiscale e i suoi elementi portanti, in particolare la riforma dell’Irpef e delle detrazioni fiscali, è destinata a finire in un disegno di legge delega dai contorni incerti in accompagnamento alla Legge di bilancio, e nel migliore dei casi gli effetti si vedranno nel 2022. Sul tappeto rimane l’intenzione di proseguire la riduzione del cuneo fiscale sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, per la parte degli sgravi contributivi in favore delle imprese per valore ipotizzato di 3 miliari, e di prevedere una prima parziale copertura di 6 miliardi per l’attuazione della legge delega che istituisce l’assegno unico universale per i figli in carico alle famiglie sino ai 21 anni, in corso di approvazione definitiva presso il Parlamento.



Quest’ultima rappresenta l’unica buona notizia scaturita dal guazzabuglio delle proposte di riforma fiscale che convergevano unicamente sul tentativo di drenare in altre direzioni le risorse previste per la concreta attuazione dell’unico provvedimento di sostegno alle famiglie e alla natalità che riscontra l’unanime adesione di tutte le forze politiche parlamentari.

Il rinvio dei propositi di riforma dell’Irpef che erano finalizzati, nelle intenzioni, a razionalizzare il sistema delle aliquote fiscali progressive tra le diverse tipologie di reddito da lavoro, e il sistema delle detrazioni fiscali e dei bonus fiscali introdotti negli anni, rende assai probabile che nel frattempo i provvedimenti che verranno adottati per sostenere le categorie e i redditi particolarmente colpiti dalla crisi economica, e per spingere gli acquisti di particolari beni per la stessa finalità, vadano esattamente nella direzione opposta. Senza trascurare la richiesta avanzata dalle organizzazioni sindacali di esentare fiscalmente gli aumenti salariali derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali.



Sul piano generale sono già in fase di gestazione i provvedimenti per estendere gli sgravi contributivi per i prossimi 10 anni per tutte le imprese del Mezzogiorno e a fino al 2023 del superbonus del 110% per le ristrutturazioni edilizie abitative. Oltre a una serie di agevolazioni/penalizzazioni fiscali su carburanti, materiali e prodotti per la finalità di accelerare l’obiettivo della sostenibilità ambientale. Di sicuro non mancherà la tentazione di ridurre le detrazioni fiscali per le spese scolastiche e sanitarie e aggravare di ulteriori balzelli, a livello nazionale e locale, l’accesso ai servizi pubblici per i cosiddetti redditi medio alti, quelli superiori ai 40.000 euro lordi annui e che finanziano il 70% degli introiti Irpef. Una soglia di reddito assunta in modo anacronistico nel dibattito politico per stimare la quota dei ceti meritevoli di sostegni pubblici rispetto a quella da spennare rappresentata dei redditi medio elevati.

Per una parte di questi provvedimenti, in particolare per gli sgravi contributivi e i super bonus per le ristrutturazioni edilizie, il Governo pensa di trasferire le coperture finanziarie sulla quota dei finanziamenti europei a fondo perduto del Recovery fund. Ma resta il fatto che, nell’insieme, tutti gli interventi elencati sono destinati a generare un’ulteriore proliferazione di norme fiscali finalizzate a sostenere obiettivi diversificati e a compromettere ulteriormente la possibilità di razionalizzare i pilastri del sistema fiscale.

Nella condizione attuale, e tenendo conto dell’esigenza ineludibile di dover affrontare le emergenze economiche produttive e sociali anche con provvedimenti mirati, la priorità assoluta dovrebbe essere quella di indirizzare le risorse disponibili, e i sistemi di incentivazione collegati, verso gli investimenti, la generazione di nuove opportunità occupazionali e la natalità. Le tre leve che possono significativamente offrire un contributo per avviare e consolidare nel tempo una fase di ripresa economica.

Diversamente, l’orientamento prevalente nelle forze politiche, a partire da quelle che sostengono l’attuale Governo, continua a essere ossessionato dall’idea di rafforzare l’obiettivo di correggere il sistema fiscale in senso redistributivo. Un obiettivo che, alla luce dei fatti, produce solo il risultato di penalizzare i contribuenti onesti e disincentivare la crescita dei redditi ufficiali. Diventa utile ricordare che il nostro Paese, nel contesto di quelli sviluppati, si caratterizza per due anomalie: la prevalenza delle persone a carico rispetto a quelle che lavorano e il volume del risparmio mobiliare e del patrimonio immobiliare superiore di quattro volte il Pil. Generare le condizioni per mobilitare una parte di queste risorse verso gli investimenti diventa una chiave di volta persino superiore alle risorse rese disponibili tramite le Istituzioni europee o quanto meno la condizione per rendere più efficiente il loro utilizzo e sostenibile la restituzione dei prestiti, destinati nel breve periodo ad accrescere il debito pubblico.