Nel giorno in cui l’Istat comunica che la pressione fiscale, pari al 38%, è ai massimi dal 2015, la Corte dei Conti mette in guardia dal varare “misure radicali, chiamate a fini mediatici come shock fiscale”, perché, ha spiegato il Procuratore generale Alberto Avoli, “resta il problema delle coperture sul breve termine, in mancanza delle quali il corrispondente aumento del debito potrebbe avere ripercussioni gravi, tali da annullare o ridurre molto i benefici della rimodulazione delle aliquote”. Una posizione che sembra essere condivisa da Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.
Professore, partiamo dal dato sulla pressione fiscale comunicato ieri dall’Istat con il conto trimestrale delle amministrazioni pubbliche.
Se guardiamo la serie storica, la pressione fiscale al 38% del primo trimestre 2019 rappresenta un aumento, rispetto allo stesso periodo del 2018, dello 0,3%. Che segue un ulteriore incremento dello 0,4%, che c’è stato tra l’ultimo trimestre 2018 e l’ultimo trimestre 2017, e un altro dello 0,1% in termini tendenziali nel terzo trimestre 2018. Tutto questo dopo un calo dello 0,4% nel secondo trimestre 2018. Se prendiamo l’ultimo anno scorrevole, dal secondo trimestre 2018 al primo trimestre 2019, il tax rate è aumentato dello 0,2% e potrebbe crescere ancora di più nel prossimo trimestre.
A cosa si deve questo aumento?
È un effetto congiunto del rallentamento della crescita e di un mancato calo delle tasse nonostante tutta l’enfasi posta su questo aspetto.
Di fronte a un dato del genere verrebbe da dire che bisognerebbe tagliare le tasse e varare la flat tax…
Il problema è che i tagli delle tasse vanno fatti in corrispondenza di una crescita economica e con i conti pubblici possibilmente in ordine. Invece il saldo primario delle amministrazioni pubbliche, cioè il bilancio dello Stato prima del pagamento degli interessi, secondo quanto comunicato dall’Istat, nel primo trimestre 2019 è stato negativo per 5,6 miliardi, quando nello stesso trimestre dell’anno precedente lo era stato per 3,9 miliardi.
Tagliare le aliquote non può portare a un aumento del gettito tramite la riduzione dell’evasione fiscale?
Mi sembra che sia un’assunzione fideistica pensare che i cittadini, di fronte a un abbassamento delle aliquote, siano invogliati a pagare le imposte se prima non lo facevano. Non so fino a che punto queste teorie comportamentali, elaborate in contesti anglosassoni, possano funzionare in Italia.
Si dice anche che la flat tax aiuterebbe la crescita…
Prima che si materializzi una qualche forma di crescita economica conseguente all’abbassamento delle tasse rischia di passare un tempo abbastanza lungo e quindi i vantaggi pratici di questa misura sono puramente teorici.
Dunque condivide le perplessità espresse dal Procuratore generale della Corte dei Conti.
Il punto è che siccome non abbiamo entrate certe da questa eventuale flat tax c’è il rischio che lo Stato veda peggiorare i conti pubblici. Già siamo sotto la minaccia di una procedura d’infrazione, non vedo perché dovremmo andare all’arrembaggio contro i mercati e contro la Commissione europea. Se diminuisce il gettito nel breve medio termine e il debito pubblico schizza al 135% del Pil le lascio immaginare quali conseguenze ci sarebbero su spread e tassi di interesse sul debito.
A proposito di procedura di infrazione, il Governo sembra pronto a varare un aggiustamento dei conti che porterà il deficit al 2,1% del Pil. Cosa ne pensa?
Senza il punto di Pil di privatizzazioni, di cui non si vede ancora l’ombra, noi non arriviamo al 2,1% di deficit/Pil, ma al 3,1%. Quindi non solo non rispettiamo il Fiscal compact, ma rischiamo di andare in procedura d’infrazione sul deficit, visto che sarebbe superiore al 3% del Pil.
Ritiene sia possibile comunque tagliare le tasse, magari tramite una riduzione del cuneo fiscale o delle aliquote Irpef?
Man mano che ci inoltriamo in questa valle di lacrime fatta di mancata crescita, peggioramento dei conti pubblici, diffidenza dei mercati verso i nostri titoli di stato e agenzie di rating pronte a declassarci, i nostri margini di manovra si riducono drammaticamente. In questo clima ritengo impossibile un abbassamento della pressione fiscale. Senza una crescita minima che aiuta poi ad avere gettito, non si può rinunciare a entrate certe, altrimenti i conti pubblici peggiorano. E rischiamo di vederci comminate ricette di austerità.
Come si fa a tornare a crescere, condizione che lei ritiene necessaria per tagliare le tase?
Bisogna andare con il capo cosparso di cenere a Bruxelles, mettere i risparmi di Quota 100 e Reddito di cittadinanza a riduzione del deficit e chiedere di poter aumentare gli investimenti pubblici, perché quelli privati sono azzoppati dal clima di sfiducia e dall’aumento dei tassi che c’è stato.
(Lorenzo Torrisi)