In questi giorni è partita l’operazione cashback. Al di là delle difficoltà di avvio, comuni a tutte le operazioni massive che hanno bisogno di tempo per entrare a regime, rimangono i dubbi sull’efficacia dell’intervento. Oggi il vero tema sono le misure da introdurre per realizzare il recupero delle risorse per fronteggiare i problemi che già esistevano e che sono stati accentuati dalla crisi. Questi aspetti sono chiari al Prof. Cacciari, che durante una trasmissione televisiva è stato stimolato a commentare la proposta di Salvini che vorrebbe introdurre il condono fiscale e/o quello edilizio. Cacciari nel corso del suo intervento ha argomentato che le soluzioni, di fronte alla crescita del debito causata dalla pandemia e dalle politiche di bilancio messe in campo, non sono molte se non si vuole andare verso una bancarotta generazionale. La sua risposta non è piaciuta perché sottolinea le difficoltà del Governo accusato di non decidere e di non avere una visione complessiva delle azioni da intraprendere.



Oggi Il Fatto Quotidiano propone l’introduzione a carico dei super ricchi italiani di un piccolo contributo con la finalità di aiutare i milioni di lavoratori autonomi, precari, commercianti e imprenditori in difficoltà. Secondo i promotori, un contributo del genere non avrebbe effetti recessivi al contrario di quanto provocherebbe una patrimoniale da far scattare sopra i 500.000 euro. La valutazione sarebbe basata sulla considerazione che i grandi patrimoni producono rendimenti annui superiori a quelli del prelievo proposto e, dunque, ai super ricchi non verrebbe richiesto un grosso sacrificio.



La proposta ha il suo pregio, ma lascia sullo sfondo il tema dell’evasione fiscale dei lavoratori autonomi e delle Pmi che viene considerata una patrimoniale latente da recuperare. Il tema non viene affrontato, ma viene lasciato lì come arma da brandire di tanto in tanto per calmare l’opinione pubblica. Qui non viene messa in dubbio l’esistenza dell’evasione fiscale, ma si vuole sottolineare come rimanga inesplorato un aspetto, ovvero se la causa dell’evasione non sia riconducibile all’eccessività della pressione fiscale.

Resta altresì del tutto trascurato un tema che poche volte viene messo al centro del dibattito, ovvero le azioni da introdurre per regolamentare la tassazione dei giganti del web. Il centro studi di Mediobanca ha definito esiguo l’importo versato al fisco italiano dalle multinazionali del web che contano su un giro d’affari di oltre mille miliardi di euro l’anno e con profitti che nel 2019 hanno raggiunto i 146 miliardi. In Italia queste società realizzano ricavi per 3,3 miliardi di euro, ma nel 2019 hanno pagato in tasse soltanto 70 milioni di euro. Si va da Amazon che verserebbe 10,9 milioni, agli appena 2,3 milioni le tasse pagate da Facebook fino all’incredibile dato di Netflix: 6 mila euro, meno di un operaio. Questi gruppi, attraverso operazioni organizzate tra filiali domiciliate in diversi Stati, riescono a spostare gli utili nei Paesi dove il prelievo fiscale è bassissimo o inesistente. Con queste tecniche definite di “ottimizzazione fiscale” i big di internet sono riusciti a sottrarre al fisco tra il 2015 e il 2019 qualcosa come 46 miliardi di euro. 



In Italia la tassazione del web non è a centro del dibattito e l’introduzione del cashback ne è la riprova. Insieme alla prossima introduzione della lotteria degli scontrini hanno senz’altro un migliore impatto mediatico, ma trascurano le difficoltà delle partite Iva che già prima della pandemia lamentavano un peso eccessivo della tassazione che è ben oltre il 50%.

Una fonte per recuperare risorse sembra essere la web tax. La Francia ha deciso di sfidare gli Usa e procede per la sua strada iniziando a chiedere ai big del digitale il versamento di imposte. Parigi ha deciso di procedere in autonomia stante la difficoltà di definire in sede Ocse una legge che imponga ai grandi gruppi operativi sul web di pagare un’imposta basata sul fatturato. Ad aprile anche il Regno Unito potrebbe introdurre una legge analoga.

L’Italia, oltre che seguire Francia e Regno Unito, potrebbe proporsi per l’introduzione della web tax a livello europeo e ciò potrebbe rappresentare una forma di rifinanziamento del Recovery fund facendolo diventare quello che dovrebbe essere: lo strumento per favorire le nuove generazioni.