Fa strano osservare che i primi della classe in Europa per consistenza della manifattura, Germania e Italia, si piazzano agli ultimi due posti per capacità di crescere secondo le previsioni della Commissione per il 2019: noi in fondo a tutti con uno striminzito 0,1% e i tedeschi un po’ meglio con lo 0,5%. Un dato che segnala immediatamente almeno due cose: le vecchie glorie del Continente sono in affanno (anche la Francia e l’Inghilterra non se la cavano per niente bene) e le loro economie sono molto più integrate di quanto non appaia. In particolare, se rallenta la locomotiva di Berlino, la carrozza di Roma rischia di fermarsi.



Tutto questo porta a interrogarsi sull’efficacia delle politiche perseguite. Un punto della situazione si farà domani, quando le associazioni imprenditoriali e i sindacati incontreranno il vicepremier Matteo Salvini che da una parte promette di ascoltare e dall’altra annuncia di voler esporre la sua ricetta per la flat tax. Il fronte delle imprese e delle organizzazioni dei lavoratori appare abbastanza compatto. Il primo non dimentica il successo ottenuto a Torino il 3 dicembre dello scorso anno quando undici sigle rappresentative di 3 milioni d’imprese e 13 milioni di addetti dissero Sì alla Tav, Sì alla crescita e Sì alle infrastrutture. Una piattaforma, come si diceva una volta, che si è consolidata nel corso nel tempo come numerose successive iniziative comuni hanno dimostrato. In quell’occasione si levò anche un sonoro No alla procedura d’infrazione che Bruxelles stava per affibbiarci e anche di recente quel monito è tornato a farsi sentire.



In buona misura Cgil, Cisl e Uil, che hanno firmato con Confindustria il Patto della Fabbrica, condividono le posizioni delle loro controparti naturali e aderiscono alla richiesta di attenuare il peso in busta paga di tasse e contributi a tutto vantaggio dei lavoratori che si ritroverebbero così con più soldi in tasca.

Qualche differenza si coglie sulla proposta di salario minimo, nuovo cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, con la Cgil più cauta nel giudizio, mentre lo schieramento contrario al provvedimento si presenta molto ampio e quasi unanime con molte e buone ragioni che trovano ascolto nello stesso Governo.



Il fatto è che se si vuole reagire alla bassa o mancata crescita bisogna alleggerire le imprese e non appesantirle di nuovi oneri. La crescita non è un accidente che si ottiene per legge o decreto, ma un delicato processo che si mette in moto quando la politica fa le cose giuste e incoraggia gli investimenti: pubblici e privati, interni e internazionali. Comunque sia, appare evidente che l’attenzione si stia concentrando intorno al tema fiscale. E il premier Giuseppe Conte sembra condividere la necessità – rappresentata dal mondo delle imprese – di avviare una riforma organica e generale che mal si concilia con la tassa piatta che la Lega sembra voler introdurre a tutti i costi.

Eppure, proprio i costi sono il nodo da sciogliere. I conti con Bruxelles sono solo rinviati all’autunno quando si dovrà concepire e varare una manovra che a voler accogliere tutte le pretese della maggioranza dovrà ammontare a non meno di 50 miliardi. Una materia troppo seria per essere affidata alla finanza creativa.