Salvini voleva estendere notevolmente la platea della flat tax, ma la tassa piatta, misura bandiera della Lega, è stata accantonata dal nuovo governo Pd- 5Stelle. Anche la parte già effettiva della misura, per i lavoratori autonomi con reddito fino a 65.000 euro, è nel mirino del Governo giallorosso, che punta a ridurne la platea degli aventi diritto. Intanto però le richieste per il regime agevolato sono aumentate del 38%, come dichiara una nota del Ministero dell’Economia. Il Sussidiario ha parlato col Presidente della Cassa Nazionale di Previdenza dei Dottori Commercialisti, Walter Anedda, per capire quali saranno gli effetti di un cambiamento della normativa sulla flat tax e commentare sul piano dell’efficacia e della fattibilità le varie proposte del governo in campo fiscale.



Il governo vuole rivedere la flat tax fino a 65.000 euro, per restringere la possibilità di accedervi soltanto a chi è titolare di una partita Iva da non più di due anni, escludendo molti degli attuali aventi diritto. Che effetti ha avuto la flat tax finora?

La flat tax, che semplificava il quadro fiscale, aveva al suo interno un difetto: ha messo in crisi la tendenza a aggregarsi delle varie categorie professionali, inclusi i commercialisti. Fino a ieri la tendenza dei professionisti era aggregarsi: mettersi insieme li rendeva più efficienti, dati alla mano, anche attraverso la formazione di studi associati intercategoriali. Per questo i commercialisti in particolare avevano chiesto che la flat tax per gli studi associati o le società tra professionisti venisse calcolata pro quota, per evitare questa disintegrazione dannosa per la competitività.



Si parla di un aumento del 38,7% di richieste per le partite Iva in regime agevolato quest’anno. A cosa è dovuto?

L’incremento delle partite Iva è dovuto a due fattori, il primo è legato al regime agevolato garantito dalla flat tax. Il secondo aspetto è che, storicamente, con la riduzione del tasso di occupazione, c’è un lieve incremento delle partite Iva. Questo perché chi non trova un posto di lavoro si apre una partita Iva, che rimane aperta fino al rientro del mercato del lavoro di chi l’ha aperta.

Chi oggi con la sua partita Iva pagava il 15%, quanto si ritroverebbe a pagare?



A questo punto chi non rientra nel regime agevolato sarà assoggettato alla tassazione ordinaria, in base alle aliquote previste dallo scaglione di reddito relativo: da un minimo del 23% a un massimo del 43%.

Per la flat tax si potrebbe tornare a delle clausole di esclusione che prevedevano per i forfettari di non poter pagare i dipendenti oltre i 5 mila euro e non poter acquistare beni strumentali per cifre superiori ai 20 mila euro.

Oggi la flat tax è legata solo al massimale di 65.000 euro. Con la proposta si cerca di ridurre i soggetti che ne possono usufruire. In tal senso anche l’idea di introdurre l’obbligo di emettere la fatturazione elettronica per i beneficiari della flat tax si riduce in un significativo aggravio procedurale e quindi un disincentivo ad optare per tale regime. Io credo che anziché continuare a parlare di modifiche di varia natura, forse è meglio rivedere in toto la normativa stessa.

Meglio abolirla che continuare a modificarla?

Il vero problema del fisco è che estremamente complicato. Agire così, con piccoli ritocchi continui, non fa altro che complicare la vita alle persone, che si trovano sempre più oberati di adempimenti amministrativi. Nella sostanza questa schizofrenia fiscale si traduce in ulteriori costi indiretti a carico delle imprese e dei commercialisti che li assistono.

Si è parlato di Daspo ai commercialisti, una sospensione temporanea o permanente dall’attività professionale per coloro che, ad esempio, certificano crediti Inps inesistenti. In questo senso, il governo sembra voler entrare in una procedura che prima, in caso di sanzioni non penali, era interna all’ordine dei commercialisti. Perché avete protestato?

Al di là che le ultime dichiarazioni sembra abbiano escluso questa possibilità, la categoria ha reagito perché sembrava che i commercialisti fossero complici delle frodi. L’impatto mediatico è stato fortemente negativo perché si trattavano dei professionisti come hooligans. I commercialisti già oggi si assumono in pieno responsabilità civili, penali e disciplinari per il lavoro che svolgono. Giova ricordare che il procedimento disciplinare è oggi gestito da una commissione i cui componenti non sono nominati dagli ordini e assicurano, grazie alla loro terzietà, la garanzia d’imparzialità.

Si parla di sostituire gli 80 euro con un bonus per chi ha figli a carico. Prima erano 6 milioni di riceventi, ora un terzo di questi (quelli senza famiglia) perderebbero il beneficio a vantaggio di una platea potenziale di 5,6 milioni di famiglie escluse finora dagli ottanta euro. Lei cosa ne pensa?

Sul piano dell’equità la norma sugli 80 euro lascia molto perplessi. Concedere un bonus che non tiene conto della realtà familiare è un errore, aumentarlo per chi ha famiglia rappresenta un’evoluzione sul piano equitativo. E poi il bonus Renzi non andava a chi aveva un reddito sotto gli 8.000 euro, un altro punto da modificare per migliorare l’equità. Mi preoccupa l’impatto finanziario della misura, visto che si parla di farlo a costo zero. Oltre al bonus Renzi, che costa meno di 10 miliardi, la rimodulazione riguarderebbe anche le detrazioni Irpef per i familiari a carico e gli assegni familiari previsti in busta paga. Mi auguro si facciano bene i conti.

Nel governo si discute tra chi vuole uno stop completo all’aumento dell’Iva e chi chiede una rimodulazione.

Si parlava di avere più aliquote, differenziate in base al meccanismo di pagamento, ma non era possibile perché la normativa Iva è di natura comunitaria. L’Iva si applica in caso di cessione di beni e servizi, e non prevede differenziazioni in base al metodo di pagamento utilizzato. Il Governo aveva proposto un cashback (una restituzione di parte dell’importo speso per chi paga con strumenti elettronici) proprio per ovviare a questo problema.

I pagamenti elettronici sono la soluzione al problema dell’evasione?

Ridurre il contante facilita il recupero dell’evasione, ma non la elimina. 7 miliardi sono una cifra iperbolica da recuperare solo favorendo i pagamenti elettronici. Il rischio è che si arrivi a dire mediaticamente di non preoccuparsi per gli aumenti, mentre in realtà si alza l’Iva.

Lei pensa che per implementare il patto fiscale coi cittadini previsto da Conte sia meglio usare gli strumenti già esistenti o implementarne di nuovi?

Gli strumenti, come la capacità di incrocio tra banche dati, già ci sono: si tratta di utilizzarli. A noi come categoria spaventa il fatto che sempre più dati vengono acquisiti dai commercialisti, che fanno da cuscinetto tra imprese e Agenzia delle Entrate. Questo aggravio burocratico ha un costo non di poco conto per la categoria.

Sembra che ci siano difficoltà a far comunicare le banche dati di Inps e Inail con quelle dell’Agenzia delle Entrate.

Ammesso e non concesso che ci siano difficoltà di carattere informatico, il punto è risolverle, non introdurre nuove normative.

Pensa che si continuerà a combattere l’evasione con un inasprimento delle pene?

È un dato di fatto che ci sia una deriva colpevolista. La legge per le “manette agli evasori” esiste da una vita, e le persone colpevoli già vengono condannate e si fanno la galera. Ma non è incrementando le pene che si ottiene il risultato. Esistono forme di evasione ed elusione non di poco conto, pensiamo a quelle legate al mondo digitale. Capisco che sia difficile scovarle, ma bisogna cercare di farlo. È inutile continuare a rincorrere, ammesso che ancora esista, il negoziante che non batte lo scontrino.

Avete qualcosa da chiedere al governo in quanto categoria?

Sì. Il consiglio nazionale dei dottori commercialisti ha preparato con Confindustria un documento che sarà presentato alla Camera il 9 ottobre. Chiediamo di semplificare, razionalizzare e rendere più equilibrato il rapporto fisco cittadino. Siamo in trincea su tasse, fisco e lotta all’evasione, chiediamo solo al governo di ascoltarci.

(Lucio Valentini)