In principio era il verbo, parafrasando il Vangelo di Giovanni. La tassazione progressiva sul reddito per finanziare il welfare universale (scuola, sanità, assistenza e servizi pubblici collettivi) è stata la regola aurea che ha orientato la formazione degli stati sociali nazionali di gran parte del vecchio mondo sviluppato. Negli anni ’80 sono apparse le prime crepe. L’elenco è troppo lungo per essere ricordato, ma la combinazione tra invecchiamento della popolazione, apertura dei mercati e indebitamento pubblico ha imposto a tutti gli Stati una lunga stagione di riforme che è tutt’altro che esaurita.
L’Italia sconta gravi ritardi, legati principalmente alle note lacune del sistema fiscale e alla famelica concentrazione della spesa sociale su quella previdenziale, che nell’insieme hanno concorso a produrre buona parte del nostro debito pubblico. Ma è proprio questo ultimo fattore, il costo del debito, ad aver orientato da anni l’azione delle riforme per l’esigenza di fare cassa, al di fuori di una visione di insieme.
Fin qui ho ricordato cose note, ma che purtroppo continuano a essere ignorate nei loro effetti distorsivi dalle classi dirigenti politiche. In Italia le persone oneste, magari perché obbligate dalla condizione di essere dipendenti o pensionati, non solo pagano le tasse con aliquote fortemente progressive, fino al 48% del reddito comprendendo le addizionali regionali e locali, ma vengono chiamate a concorrere con tickets e altri balzelli relazionati al reddito per usufruire dei servizi sovvenzionati in gran parte dalle loro tasche (basti pensare che il 12,8% dei contribuenti con reddito lordo superiore ai 35mila euro concorre al 60% delle entrate Irpef).
Questo produce di fatto due alterazioni: la prima è quella di introdurre un’ulteriore tassazione progressiva surrettizia, la seconda è di alterare la progressività stessa della tassazione dato che molti redditi bassi che usufruiscono gratuitamente delle prestazioni si ritrovano di fatto a percepire un reddito effettivo superiore a coloro che sono stati chiamati a concorrere ai servizi con le tasse e e i successivi balzelli.
Nei tempi recenti è stata introdotta un’altra moda, quella di dare dei bonus entro una determinata soglia di reddito, ad esempio gli 80 euro di Renzi e i bonus bebè replicati in questa forma dagli enti locali anche su altri servizi erogati, che accentuano ulteriormente tale distorsione. Infatti, rendono conveniente avere un reddito inferiore e usufruire dei bonus piuttosto che darsi da fare per aumentare le retribuzioni, ovvero incentivando l’omissione dei redditi percepiti (ne sanno qualcosa le persone che hanno dovuto restituire al fisco gli 80 euro mensili avendo superato a consuntivo i 25mila euro annui).
Voi pensate che tutto questo sia un aspetto marginale per stimolare in positivo o in negativo i comportamenti economici e sociali delle persone? Provate a chiedervi il perché quasi la metà dei contribuenti dell’erario contribuisce solo al 2,6% delle entrate. Tutti potenziali percettori di sussidi, servizi gratuiti, redditi di cittadinanza, pensioni minime integrate e quant’altro. Il bello è che l’apice di queste distorsioni viene prodotto proprio da coloro che rivendicano le politiche di equità, redistribuzioni con tanto di enfasi sulla legalità dei comportamenti. Sono ancora più che mai attivi. Infatti, stanno ipotizzando di elevare da 1.000 a 1.500 euro il bonus annuo di Renzi, rigorosamente per chi dichiara meno di 26mila euro, di aumentare i tickets sanitari e diminuire le detrazioni fiscali per coloro che le tasse le pagano regolarmente.
Il tutto ovviamente con il proposito di contrastare le evasioni fiscali e i furbetti nelle prestazioni pubbliche. E altro si inventeranno sicuramente… sono un po’ paranoici, ma in questo campo non manca loro la fantasia.