Il Governo ha la fiducia del Parlamento. Il discorso di insediamento al Senato ha ricevuto ampi consensi per la presenza di un aspetto innovatore. Per ogni area intervento è stato declinato il metodo che si intende seguire. Nel trattare della riforma fiscale, il Prof. Draghi ha affermato che la materia, mutuando esperienze di altri Paesi, dovrebbe essere affidata “ad esperti, che conoscono bene cosa può accadere se si cambia un’imposta”. L’affermazione è stata accompagnata proponendo l’esempio della Danimarca. Il Premier ha ricordato, per riaffermare che quella sia la strada e non altra, che in Italia la riforma degli anni ’70 nacque dalla collaborazione tra il Governo e un’apposita commissione parlamentare.
Oggi la riforma è necessaria perché ci troviamo in una situazione del tutto simile: generica e confusa produzione normativa, frequenti fenomeni di doppia imposizione, aliquote eccessive, farraginosità nel funzionamento degli uffici dell’Amministrazione Finanziaria e un fisco telematico messo in dubbio anche dall’ex ministro Visco. Che il metodo per fare la riforma passi per il Parlamento è corretto e appare ovvio: i temi dell’equità, della famiglia, della redistribuzione, ecc. non possono essere delegati a funzionari dell’Amministrazione. La riforma si farà, dunque, seguendo la strada parlamentare che sappia ascoltare i temi provenienti dai diversi attori della società con un occhio alle famiglie e alle nuove generazioni. Esemplificativo al riguardo è l’inciso del discorso che sottolinea come sia giunto il momento di dare risposta a un interrogativo che non può essere solo del Prof. Draghi: “Stiamo facendo per loro (le future generazioni, ndr) tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi, sacrificandosi oltre misura”?
Altro elemento di chiarezza è stato indicare che la riforma si baserà sul principio della progressività azzerando il dibattito tra chi vuole la flat tax e chi vuole mantenere la progressività, presente nella Costituzione, spesso considerato un dogma. Bisogna ora comprendere come verrà smontato questo dogma che oggi (r)esiste solo per pochi: per i lavoratori dipendenti, per gli imprenditori che operano in forma individuale e i professionisti. Senza dimenticare che esistono molte categorie reddituali che hanno più o meno una forma di tassazione piatta.
Al momento non si comprende come la proposta di una tassazione alla tedesca possa assicurare l’equità che va riconosciuta ai lavoratori autonomi e ai dipendenti del settore privato duramente colpiti dai lockdown. Non è da escludere che la soluzione tedesca possa portare, attraverso la rimodulazione degli scaglioni, alla determinazione di un’aliquota media simile alla flat tax realizzando implicitamente la stessa.
Il discorso alla Camera ha confermato che centrale nella riforma fiscale dovrà essere la semplificazione. La burocrazia che accompagna la vita delle imprese deve fare un passo indietro. La molteplicità di adempimenti oggi imposti alle aziende ha per esse un costo. Il fisco telematico e gli adempimenti introdotti e che si vorrebbe introdurre, per arrivare alle dichiarazioni del tutto pre-compilate, colpiscono solo una parte dei contribuenti, quella di fatto già “fedele” al fisco. La riduzione degli adempimenti porterebbe le aziende e i professionisti che le assistono a rivolgere i propri sforzi e le proprie risorse verso attività, R&D-marketing, che possano far crescere le aziende e di ciò ne trarrebbe giovamento il sistema Paese. Occupazione, crescita dimensionale, ecc.
Una provocazione pare necessaria. Occorre rileggere (per riscriverle) bene le norme e le interpretazioni sin qui rilasciate in ordine al superbonus 110%. Al momento si ha la sensazione di un bonus che è andato oltre l’uno vale uno e che nei prossimi anni rischia di rivelarsi un boomerang. La farraginosità che accompagna la sua attuazione rischia, a seguito degli inevitabili e giusti controlli che ci saranno, di far nascere una miriade di contenziosi che vedranno coinvolti i proprietari/beneficiari e i professionisti che avranno rilasciato le asseverazioni richieste. L’attività di controllo è senz’altro giusta, ma in un mondo fatto di interpretazioni si rischia che il peso delle sanzioni e delle revoche rimanga a carico dei proprietari.
Un’ulteriore riflessione dovrebbe riguardare il trattamento da riservare ai crediti che non vengono incassati proponendo una loro detassazione anche per quanto riguarda l’Iva, estendendo il principio “dell’Iva per cassa”. Andrebbe valutato se non sia il caso di allargare il sistema del reverse charge in ambito Iva.
Da ultimo ma non ultimo il nostro sistema fiscale deve poter attrarre le aziende e non espellerle. Le aziende si rivolgono ai mercati dove ci sono le condizioni migliori. Ma questo è un tema che riguarda le società e forse al momento non è in agenda.
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