Il centrodestra ha risposto positivamente alla richiesta di Enrico Letta di arrivare a stringere un accordo tra tutti i leader politici sulla Legge di bilancio in modo da evitare “un Vietnam parlamentare” “di fronte a decisioni da prendere attese da milioni di cittadini, come quella sulle pensioni”. Un punto della manovra su cui non sarà semplice trovare un accordo tra le forze politiche è quello relativo al fisco. Il Governo ha infatti deciso di stanziare 8 miliardi di euro per tagliare le tasse, ma su come usare concretamente queste risorse ci sono diverse visioni: intervenire sul cuneo fiscale, ridurre le aliquote Irpef, cancellare l’Irap, estendere la flat tax per gli autonomi. A quale di questi interventi bisognerebbe dare priorità? Secondo Nicola Rossi, professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata ed esperto di materie fiscali, “qualunque sia la scelta sarebbe opportuno che venisse fatta avendo in mente quelli che sono i passi successivi della delega fiscale”.
Perché?
Perché in linea di principio questo intervento rappresenta il primo step della delega. Sarebbe quindi bene che si stabilisse fin da ora che ciò che si fa oggi con la Legge di bilancio è logicamente legato a ciò che si pensa di fare domani con la delega fiscale. Temo però che questo non accadrà e che prima si discuterà la destinazione di questi 8 miliardi, poi si approverà la delega fiscale e quando tra un anno, un anno e mezzo si discuterà della concreta attuazione della delega si scoprirà che l’intervento deciso con la manovra non si rivelerà particolarmente connesso a ciò che si intenderà fare allora.
Non vede il rischio che alla fine si deciderà di suddividere questi 8 miliardi dedicandone una parte a ciascuno degli interventi richiesti dai diversi partiti?
Sì, ho la netta sensazione che si terrà conto di più esigenze simultaneamente, finendo per non dare un segnale chiaro di orientamento. Credo che sarebbe un peccato perché la somma stanziata non risolve certo tutti i problemi del nostro sistema fiscale, ma consentirebbe di mettere in campo un avvio di intervento in una determinata direzione.
Prima ha detto che solo tra un anno, un anno e mezzo si discuterà della concreta attuazione della delega fiscale. Considerando la scadenza della legislatura, a farlo potrebbe quindi essere un altro Parlamento?
Io mi auguro vivamente che a discutere i contenuti concreti della delega fiscale sia il prossimo Parlamento. È vero che la delega appare sufficientemente ampia da tenere conto di tutte quelle che possono essere le posizioni dei vari partiti, ma credo che il tema di come vogliamo che sia il fisco futuro meriti di essere discusso dagli italiani ed è giusto che poi possano esprimere il loro voto anche su di esso.
Come si fa allora, come da lei auspicato, a legare la scelta dell’attuale Legge di bilancio a quella che verrebbe poi presa da un nuovo Parlamento sulla delega fiscale?
Attraverso un’intesa. Per esempio, tutti i gruppi parlamentari potrebbero concordare sulla necessità che nell’esercizio della delega fiscale si debba abolire l’Irap. A quel punto fare un primo passo in questo senso con la Legge di bilancio sarebbe ragionevole. I partiti potrebbero anche concordare sul fatto che il salto attuale di aliquote presente nell’Irpef sia da alleggerire e quindi si potrebbe già intervenire in questa direzione con la manovra. Alla discussione parlamentare, però, si sta arrivando con posizioni molto diverse e la mia impressione è che non si riuscirà a raggiungere a un accordo di questo tipo.
Un intervento che aiuti il potere d’acquisto in una fase di aumento dell’inflazione sarebbe comunque benvenuto.
Qui arriviamo al punto di fondo che non abbiamo ancora trattato: sarà un intervento di alleggerimento del carico fiscale a debito. Sarebbe benvenuto se fosse connesso a un provvedimento sul lato della spesa in grado di far sì che le famiglie e le imprese lo percepissero come permanente. Un intervento a debito, invece, non ha molte probabilità di essere permanente.
Un provvedimento atteso del Governo, che si intreccia con i temi fiscali, è quello dell’Assegno unico per i figli. C’è il rischio, come viene paventato, che qualcuno ci rimetta rispetto alla situazione attuale con assegni famigliari, detrazioni e deduzioni fiscali?
Non è possibile escludere che ci sia qualche categoria di contribuenti per i quali questa operazione non risulti del tutto vantaggiosa. Ciò non come diretta conseguenza dell’intervento che si fa, ma della natura caotica del sistema attuale, frutto di misure che si sono sovrapposte nel tempo. In una condizione del genere è quasi impossibile evitare di generare effetti penalizzanti per qualcuno.
Ben venga allora una clausola di salvaguardia per evitare che le famiglie ricevano meno di oggi.
Guardi, il punto è che una misura di questo tipo finirebbe per alimentare il problema che vorrebbe risolvere. Si andrebbe infatti a perpetrare l’esistenza di trattamenti differenziati all’interno del sistema. Se si fa una riforma occorre spiegare a chi eventualmente ci perde perché ciò avviene. Anche per questa ragione sono favorevole al fatto che sia il Governo espresso dal prossimo Parlamento a esercitare la delega fiscale, perché c’è bisogno di un dibattito pubblico su come vogliamo il fisco, c’è bisogno che gli italiani ci riflettano e che votino di conseguenza.
Anche chi non prenderà di meno rischia però di dover presentare ogni anno domanda all’Inps per ricevere l’Assegno unico. Non c’è il rischio di andare nella direzione opposta rispetto all’auspicata semplificazione?
Che ci sia un’esigenza di semplificazione, su molti fronti e non solo per quanto concerne l’Assegno unico, credo non sia una novità. Per questo penso occorra ricondurre una serie di trattamenti che oggi fanno parte a tutti gli effetti della spesa e vengono gestiti dall’Inps all’interno dell’Agenzia delle Entrate, considerandoli come imposte negative. Del resto durante la pandemia l’Agenzia delle Entrate ha dimostrato di saper essere un ottimo organo di spesa: i ristori sono stati erogati attraverso di essa. Visto che ormai la capacità c’è, perché non spostare all’interno dell’AdE le sole attività assistenziali lasciando l’Inps essere ciò che dovrebbe essere, cioè un ente strettamente previdenziale?
(Lorenzo Torrisi)
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