Il sistema fiscale perfetto in Italia esiste già e non è la flat tax. È quello che da oltre vent’anni si applica al settore delle ristrutturazioni edilizie, nella sua vasta accezione terminologica. Un meccanismo grazie al quale il contrasto degli interessi tra committenti ed esecutori ha consentito di far emergere vaste aree di sommerso precedentemente esistenti nelle micro imprese edili e, al contempo, di generare investimenti e occupazione. I risultati, secondo lo studio promosso dal Servizio Studi della Camera dei Deputati in collaborazione con il Cresme, stanno lì a testimoniarlo.



Nel ventennio 1998-2018 sono stati effettuati circa 18 milioni di interventi di ristrutturazione immobiliare, per un totale di 293 miliardi di investimenti. Nello stesso periodo, lo Stato, nonostante i crediti riconosciuti, vanta un saldo positivo di quasi 8,8 miliardi di euro, che deriva dall’incremento del gettito (positivo), dai flussi derivanti dalle detrazioni (negativi), dalle maggiori entrate derivanti dalla matrice di contabilità sociale (positive) e dal minor gettito fiscale sui consumi energetici (negativo). Le imprese, dal canto loro, vantano un saldo positivo di oltre 239,2 miliardi di euro, risultato di un fatturato (positivo), all’interno del quale sono compresi i compensi e le retribuzioni per gli occupati delle imprese stesse, nonché le imposte e gli oneri sociali sostenuti dalle imprese e attribuibili agli incentivi fiscali (negativi).



Per di più “gli investimenti veicolati dalle misure di incentivazione fiscale hanno avuto e continuano ad avere un rilevante impatto sull’occupazione: nel 2018 le stime riguardano 426.745 occupati, dei quali 284.497 diretti e 142.248 nell’indotto. I 202,4 miliardi di euro attivati dagli incentivi nel periodo 2011-2017 hanno attivato oltre 2 milioni di occupati diretti nel settore del recupero edilizio e della riqualificazione energetica e 1 milione di occupati indiretti nelle industrie e nei servizi collegati”.

Un modello di successo, insomma, in grado di coniugare equità, efficienza, produttività e sostenibilità. Basterebbe, dunque, semplicemente replicarlo e applicarlo alla fiscalità generale attraverso più attrattive detrazioni, o più significative deduzioni, riservate, ad esempio, alle spese sanitarie, alle spese per welfare e asili nido, alle spese per l’istruzione complementare, ove si annidano vaste sacche di sommerso. Si tratterebbe, quindi, solo di copiare da se stessi. Applicando misure ragionevoli che hanno già dato ampia prova di efficacia.



Tuttavia, a pensarci bene, sarebbe troppo semplice e non avrebbe il gusto intenso del “cambiamento”. Meglio, dunque, continuare con i giochi di prestigio.