La Legge di bilancio ha introdotto delle novità fiscali per il 2023: dall’innalzamento a 85.000 euro della soglia per la flat tax del 15% per le partite Iva al taglio del cuneo fiscale esteso al 3% per i redditi fino a 25.000 euro. Dopo la campagna elettorale e settimane di dichiarazioni, che bilancio si può fare delle prime misure fiscali del nuovo Governo? «Ancora non si è visto molto in termini sostanziali.
I primi interventi – spiega Massimo D’Antoni, docente di Scienza delle finanze nell’Università di Siena – tuttavia confermano la linea che ha, ahimè, caratterizzato la maggior parte degli interventi fiscali negli ultimi anni. Si punta a favorire questa o quella categoria e si affrontano problemi contingenti senza attenzione alle questioni di sistema e, apparentemente, senza una visione complessiva di dove si voglia andare. Nel caso del Governo di destra è esplicita l’attenzione ai lavoratori autonomi e alla piccola impresa, lo si vede dall’estensione delle cosiddette “flat tax”. La soglia del regime forfetario è stata innalzata fino a 85 mila euro ed è stata introdotta un’aliquota ridotta sugli incrementi di reddito di autonomi e titolari di reddito di impresa, la cosiddetta “flat tax incrementale”».
La flat tax viene appunto ampliata per le partite Iva, mentre per i lavoratori dipendenti non c’è stato spazio nemmeno per quella cosiddetta “incrementale”…
Va detto che i dipendenti hanno meno controllo sui propri incrementi di reddito, quindi se l’obiettivo è incentivare la crescita o l’emersione del “nero” per loro la misura sembra meno appropriata. Per i dipendenti c’è una riduzione dal 10% al 5% della tassazione sostitutiva dei premi di risultato e della partecipazione agli utili di impresa. Su questi interventi, però, non posso che dare un giudizio complessivamente negativo. Individui con lo stesso reddito vengono a pagare aliquote diverse a seconda del fatto che il reddito sia da lavoro dipendente o autonomo. Alcune differenze sono connaturate alla diversità di attività e alla diversa modalità di accertamento, ma spingere sui trattamenti speciali mina la legittimità del sistema fiscale, che sempre più appare come il risultato della stratificazione di interventi arbitrari a favore di questa o quella categoria. Un sistema del genere non può essere percepito come equo dal contribuente. Del resto, si dice ormai da tempo che l’impianto dell’imposta sul reddito è stato stravolto. Non si tratta di una novità: pensiamo alle varie politiche dei bonus fiscali negli anni passati. Ma mi pare che si vada a peggiorare.
È stato ampliato il taglio del cuneo fiscale del Governo Draghi, ma in maniera limitata per mancanza di risorse. Dove reperirle? E, ancor prima, questo tipo di misura è così importante, come ha ribadito anche Giorgia Meloni?
L’esonero contributivo è una misura che dovrebbe attenuare, in modo mirato per i lavoratori dipendenti con reddito medio o basso, gli effetti dell’inflazione. Da questo punto di vista è il corretto complemento a misure di contenimento del prezzo dei combustibili tramite la riduzione delle accise, e come queste dovrebbe avere natura temporanea. Da un punto di vista redistributivo e di efficienza fiscale l’intervento sul cuneo sarebbe da preferire rispetto all’intervento sulle accise dei prodotti energetici, perché attenua l’impatto sulle famiglie, ma allo stesso tempo, non modificando i prezzi, incoraggia scelte e comportamenti orientati al risparmio energetico. Se poi la dimensione dell’intervento sia adeguata è difficile dirlo in generale. Questi interventi non compensano interamente gli effetti dell’inflazione, ma la coperta è corta, non sarebbe ragionevole utilizzare tutte le risorse per questo obiettivo. Leggo che tornerebbe sul tavolo il tema delle tax expenditures, ovvero l’ipotesi di una sforbiciata alle agevolazioni fiscali. L’esperienza però insegna che è un campo dove è molto difficile intervenire dal punto di vista politico e gli effetti sulle entrate sono comunque molto limitati.
Tra le priorità, la Premier ha indicato anche una tassazione che tenga conto della composizione familiare. In che modo si può fare? Già l’ipotesi di introdurre il quoziente familiare al posto dell’Isee ha sollevato qualche protesta…
Quando si parla di quoziente familiare è sempre difficile capire a cosa ci si stia riferendo di preciso. Tradizionalmente con questo termine si fa riferimento al sistema francese di determinazione dell’imposta sul reddito, che prevede un’attenuazione della progressività tanto maggiore quanto più numerosa è la famiglia. Ma è un sistema che presenta parecchie criticità. Peraltro, insistere sulla sua adozione sembra in contraddizione con l’obiettivo di “appiattire” le aliquote, visto che il beneficio fiscale che esso determina è tanto maggiore quanto più l’imposta è progressiva. Se si parla di Isee siamo però in un altro campo, che è quello dell’erogazione dei servizi e dei benefici assistenziali, a partire dall’assegno unico. Allora, però, non mi è chiaro cosa possa significare usare il quoziente “al posto dell’Isee”, visto che l’Isee è un indicatore che è costruito applicando un quoziente familiare all’indicatore di situazione economica della famiglia. Si vogliono modificare i parametri che determinano il trattamento di famiglie con diversa composizione? Si vuole rinunciare agli altri aspetti dell’Isee, quali la considerazione della situazione patrimoniale accanto a quella reddituale? Per il momento il riferimento sembra troppo vago per poter commentare.
Sembra in ogni caso emergere il problema della necessità di avere risorse per ridurre il peso del fisco. Come fare a dare più potere d’acquisto agli italiani senza compromettere i conti pubblici?
Per la quadratura del cerchio servirebbe più crescita, quindi maggiori redditi, maggiori entrate fiscali e minore necessità di spese a sostegno delle famiglie in condizioni di disagio economico. Finché la situazione resta quella che abbiamo visto negli ultimi anni, sarà difficile trovare un equilibrio tra entrate fiscali, spesa pubblica e ricorso al debito. Con l’Europa che si appresta a riattivare i vincoli del Patto di stabilità, prevedo che l’anno prossimo si presenteranno per il Governo scelte difficili. Una di queste scelte è stata risolta decidendo lo smantellamento del Reddito di cittadinanza, che pur con tutti i suoi limiti aveva contribuito, in un momento molto difficile, a mantenere al di sopra della soglia di povertà un numero elevato di famiglie. Sono molto preoccupato di quello che accadrà l’anno prossimo a coloro che verranno privati di questo sostegno.
Tra le riforme da portare a termine nell’ambito del Pnrr c’è anche quella fiscale, ma il ddl delega messo a punto dal precedente Governo alla fine non è stato approvato. Sulla base delle indicazioni arrivate con questa manovra che riforma ci si può aspettare ora?
Oltre che la manovra ci sono alcune dichiarazioni del Governo. Mi riferisco in particolare a quelle rilasciate dal viceministro Leo. Si parla di adozione di un sistema “duale”, nel quale i redditi di lavoro sarebbero soggetti a progressività mentre tutti i redditi di capitale (impresa, immobili, redditi finanziari) dovrebbero essere assoggettati a una medesima imposta proporzionale. Si tratta di un modello che ha una sua coerenza e che, se attuato in modo corretto, risponderebbe a principi ormai accettati e consolidati nel dibattito internazionale. Un obiettivo del genere non sembra tuttavia del tutto coerente con le varie “flat tax” della recente riforma. Inoltre, alcune aliquote sui redditi di capitale dovrebbero essere alzate rispetto a oggi, a meno che non si voglia spostare per intero il carico fiscale sul lavoro. Anche in questo caso, dunque, temo che formule e annunci dicano assai poco, bisognerà aspettare qualche proposta più concreta.
La mole dello stock del “magazzino fiscale” non dovrebbe indurre a una riflessione sull’efficienza del fisco? Quanto possono fare le leggi su questo fronte?
Si riferisce al contenzioso fiscale e alle numerose cartelle non pagate. C’è indubbiamente un problema, che è stato acuito dall’alto numero di imprese e attività che hanno chiuso negli anni della pandemia, rendendo quei crediti non più esigibili. Molte imprese galleggiano al limite della sopravvivenza, quando arriva l’accertamento spesso è il colpo di grazia. Da questo punto di vista, la soluzione dovrebbe essere quella di intervenire preventivamente piuttosto che a posteriori. Non sono mancati sforzi in questo senso e anche la tracciabilità dei pagamenti, senza farne una guerra di religione, dovrebbe servire a questo. Il Governo su questo fronte ha dato segnali in discontinuità rispetto agli Esecutivi precedenti, che molti hanno interpretato come un segnale di tolleranza verso l’evasione. Visto che però sento parlare di favorire la compliance, aspettiamo le proposte in questo senso. Spero proprio che la soluzione non sia quella di affidarsi alla riduzione delle aliquote, l’idea che la fedeltà fiscale aumenti riducendo le aliquote non si è mostrata corretta in passato.
(Lorenzo Torrisi)
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