In queste ultime settimane molte persone mi chiedono come possono difendere i loro risparmi da un possibile prelievo forzoso o da una patrimoniale. Vista la situazione economica straordinaria che stiamo vivendo e la normalità di un Paese, l’Italia, che ha difficoltà a reperire risorse anche per finanziare l’ordinario, molti danno quasi per scontato una qualche manovra di questo tipo. La mia risposta è che, anche lasciando stare la forza politica necessaria, non vedo come ai nostri governanti questo possa venire in mente adesso, non essendocene la necessità, per sostenere la finanza pubblica.



Dopo anni passati sotto diversi governi a indignarci del fatto che l’Europa non ci permetteva di fare tutto il debito pubblico che avremmo voluto, sottoponendoci a estenuanti trattative su decimali in più o in meno di deficit, d’incanto tutti questi problemi sono spariti e siamo finalmente liberi di poter emettere tutti i Btp che riterremo necessari. La Bce si è già impegnata ad acquistarne per 220 miliardi, con la possibilità di aumentare l’importo a semplice richiesta. Certo adesso siamo indignati perché non ci accettano i Coronabond, ma d’altra parte da qualche parte dovremmo pur metterla tutta questa indignazione.



Insomma, per tenere in piedi il Paese anche dopo due tre di mesi di completa chiusura, la possibilità di fare finanza pubblica non manca, trovando magari un modo veloce di fare arrivare i soldi a chi servono. Però questa paura di patrimoniale comincia ad avere un senso se spostiamo lo sguardo in là a qualche anno, anziché a qualche mese. Passata la crisi sanitaria, e ritornati alla normalità anche nella vita economica, ci ritroveremo con un rapporto debito/Pil tra il 150% e il 180% e uno stock di debito tra 2.500 e 2.600 miliardi a seconda delle varie previsioni. E allora a quel punto bisognerà pensare a ridurre sia il rapporto che il valore assoluto.



Notoriamente i debiti hanno solo due vie di uscita, si pagano o non si pagano. L’opzione del non pagare, il default, ha diversi estimatori dalle nostre parti, magari anche semplicemente ridenominando il nostro debito in lire. Consiglio di chiedere a due popoli che hanno molto in comune con noi, gli argentini e i greci, che cosa significa affrontare un default sul debito sovrano. Nessun governante minimamente serio dovrebbe mai prendere in considerazione l’idea. Pensiamo allora a come continuare a onorare il nostro debito e a riportarlo su un sentiero di riduzione. La strada più immediata, che viene in mente a tutti gli italiani, perché sempre percorsa da qualunque Governo di qualsiasi colore, è appunto quella della tassazione. E quindi ritorniamo alla patrimoniale.

Anche questa esercita un certo fascino su molte persone. È vero che abbiamo addirittura l’art. 47 della Costituzione che recita “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”, ma è anche vero che, nel sentire comune, se una persona ha troppi risparmi sicuramente ci deve essere qualcosa di poco nobile. Se non è un delinquente o un evasore fiscale, comunque in qualche modo si approfitta degli altri, o almeno lo facevano i suoi avi, quindi è moralmente accettabile espropriarne una parte. Quanti siano poi “troppi risparmi” ognuno lo stabilisce in base alla propria morale e al proprio portafoglio. Allora proviamo a ragionare sui numeri.

Stimiamo la ricchezza finanziaria degli italiani in 4.500 miliardi, di cui 1.500 sui conti correnti. Un prelievo forzoso sulla liquidità dello 0,6%, modello “Governo Amato ’92”, varrebbe circa 90 miliardi. Se pensiamo che chi ha subito il prelievo quasi trent’anni fa non l’ha ancora digerito, ne può valere la pena oggi? Pensiamo allora di prelevare il 10% da tutto lo stock di risparmio. Lo Stato si ritrova di colpo con la possibilità di ridurre il debito di 450-500 miliardi, ma probabilmente con un valore assoluto ancora attorno ai 2.000/2.100 miliardi. Comunque un numero enorme. Allora possiamo pensare al 20%? O al 30%? Magari solo sopra un certo importo? Certo, tutto è possibile, ma con che conseguenze sociali? Come cambierebbe l’atteggiamento di investitori e risparmiatori? Che impatto avrebbe dal punto di vista della crescita economica del Paese? Le risposte a mio parere sono tutte estremamente negative.

Esiste però anche un altro modo per ripagare i debiti, ed è quello dei nostri nonni e dei nostri genitori, quello che ha reso grande questo Paese. Con la nuova ricchezza creata dal lavoro e dagli incrementi di produttività del Sistema Paese. Probabilmente ormai questa sembra un’affermazione scandalosa, abituati come siamo a credere che il nostro declino sia inevitabile. Siamo convinti che “ci hanno fregato”, il reddito reale non cresce da almeno vent’anni per colpa dell’euro o dei tedeschi o di qualcun altro, e noi non abbiamo alcuna responsabilità. Ma qualsiasi analisi seria dimostra che il problema della mancata crescita è tutto italiano. Ogni altro Paese europeo è cresciuto in termini reali dal 2000 più di noi, persino la Grecia. Non c’è un nemico esterno, c’è un enorme nemico interno che non ci fa capire come solo una maggiore produttività può portare maggiore ricchezza per tutti.

L’analisi economica e i dati ci insegnano che nel medio periodo la crescita di un Paese dipende dalla crescita della produttività totale dei fattori, cioè dalla capacità di produrre reddito. E i fattori su cui agire sono il mercato dei capitali e del lavoro, i servizi pubblici fondamentali (giustizia, istruzione, sanità, ecc.), le infrastrutture, le professioni (avvocatura, notariato, ecc.). Insomma, un complessivo processo di sburocratizzazione, con una più efficiente allocazione delle risorse pubbliche, e in generale una visione positiva della libertà di iniziativa e di impresa e negativa dell’assistenza fine a se stessa.

È possibile prendere questa strada? Certamente. L’Italia dopo la Seconda guerra mondiale è cresciuta tra il 5% e il 6% all’anno per diversi anni. Ancora oggi, nonostante tutto, siamo una delle maggiori potenze industriali al mondo. Se iniziassimo a ragionare su come esprimere tutto il nostro potenziale di crescita, ognuno con l’assunzione di una propria responsabilità personale, il che per molti potrebbe voler dire rinunciare a un pezzetto di rendita di posizione ma con la visione di un Paese complessivamente più ricco in cui vivere, perché non può essere possibile rivedere quei fasti?

In questa crisi gli italiani si stanno dimostrando cittadini responsabili. Tutti abbiamo capito e accettato di modificare i nostri comportamenti per risolvere un grave problema, e non certo per paura delle multe. Bene, il prossimo grave problema sarà la crescita del Paese e la gestione del debito pubblico. Può essere l’occasione per affrontare entrambe le cose da parte di chi ci governa con ricette diverse dalle tasse e per noi cittadini per dimostrare ancora una volta di essere un grande Paese.

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