L’Agenzia delle Entrate si è proposta di dare vita a un’operazione di trasparenza per far conoscere agli italiani come viene concretamente impiegata l’Irpef che quotidianamente essi versano nelle casse dello Stato. Ci sono suggerimenti che invitano a usarla come “barometro” in grado di aiutarci a fare scelte consapevoli al momento della presentazione dei programmi dei partiti.
Dovrebbe nascere così una sorta di “cruscotto” attraverso cui individuare tra più capitoli di spesa la destinazione dell’Irpef. Andrebbe esplicitato che il pagamento delle pensioni, almeno quelle che non fanno parte del sistema di protezione sociale, proviene dal versamento dei contributi previdenziali e solo in minima parte attraverso la fiscalità. Mancherà dal cruscotto poi, con ogni probabilità, l’unica voce che rischia veramente di farla da padrone: l’inefficienza della macchina burocratica.
Proviamo a fare qualche esempio. In questi giorni anche il cittadino che non è un imprenditore o un professionista ha saputo dell’insuccesso registrato per i ritardi con cui è stato erogato il primo giro del bonus da 600 euro erogato nel periodo del lockdown. Non sappiamo come misurare questa inefficienza, ma sicuramente sarà costata tantissimo in termini di cattiva pubblicità per lo Stato, di straordinari pagati ai dipendenti, di rifacimenti continui del sito web, di costi di comunicazione. A onore della verità, si deve però dare atto al Ministro Gualtieri che aveva detto, in occasione del nuovo decreto rilancio, che il secondo giro del bonus da 600 euro sarebbe arrivato in tre giorni. Per conoscenza diretta posso confermare che così è stato.
Ritornando all’operazione trasparenza annunciata dall’Agenzia delle Entrate, proporrei di individuare in maniera precisa un metodo per misurare nel cruscotto la reale incidenza del costo della nostra burocrazia applicando finalmente la misurazione della performance introdotta dall’ex Ministro Brunetta.
In realtà basterebbe scrivere bene le norme affinché gli annunci trovino sostanza nelle vite concreta degli italiani. Altro esempio: nei giorni scorsi si è molto parlato del taglio Irap. Dobbiamo rileviamo con piacere come la politica, ascoltato il dibattito che si è diffuso nel Paese, si è riappropriata del proprio ruolo. Infatti, nell’ultima versione dell’articolo dedicato all’Irap è stato chiarito che, in riferimento all’acconto da versare per il 2020, “l’importo di tale versamento è comunque escluso dal calcolo dell’imposta da versare a saldo per lo stesso periodo di imposta”. L’inciso aggiunto è servito per dare alla forma della norma la sostanza che il Governo aveva annunciato: ridurre effettivamente l’Irap almeno per gli anni 2019 e 2020.
Grazie all’introduzione di questa modifica che dà il senso di come si possono fare le cose mettendo nell’angolo la burocrazia, il pregio di aver operato in questo modo è immediatamente percepibile dall’imprenditore e dal professionista. La nuova versione della norma ha conseguito simultaneamente almeno tre risultati: ha conservato la liquidità nelle tasche degli imprenditori e dei professionisti soggetti all’Irap, ha ridotto il carico fiscale dovuto dalle aziende e dai professionisti e ha assicurato un fondo perduto alle aziende, che addebitando meno Irap nei propri bilanci vedranno anche “migliorata” la propria redditività.
Tutto ciò però pone degli interrogativi. Torniamo allora al nodo della trasparenza. Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa annunciava che per dare concretezza al decreto rilancio sarebbero serviti ben 98 decreti attuativi che saranno predisposti dalla macchina burocratica e che inevitabilmente sono da prevedere ulteriori adempimenti a carico delle imprese e dei propri consulenti. Il legislatore non li aveva previsti e mal digerisce una dilatazione dei tempi del “rilancio”.
Come misurare queste nuove inefficienze che si andranno a introdurre? Come misurare il loro valore in termini di Irpef che andremo a pagare? Come ne terremo conto quando valuteremo i programmi dei partiti?
Uno dei settori sicuramente molto penalizzato dalla epidemia da Covid-19 è quello del turismo. Il legislatore ha provato timidamente a intervenire con l’art. 176 del “decreto rilancio” titolato tax credit. L’ultimo comma dell’articolo attiva diverse figure: imprenditore, consumatore, commercialista, Caf, bancario, ecc. tutte aventi un impatto e non solo economico. Era quello che si voleva? In un precedente intervento si era proposto di razionalizzare il quadro RP presente nel modello dichiarativo dove si monetizzano i vari bonus fiscali. Purtuttavia se l’unico modo di dare respiro al settore del turismo è quello del tax credit sarebbe forse opportuno, prima di renderlo inefficiente e inefficace, introdurre nel quadro RP della dichiarazione dei redditi un altro rigo che riconosca al consumatore il beneficio e consenta all’imprenditore di riempire le camere. La strada disegnata dall’art. 176 porterà le camere di albergo ad essere vuote e l’impossibilità di spendere il bonus. Ma veramente si crede che una banca acquisti da un piccolo imprenditore il bonus e che gli dia pure la liquidità necessaria? Così come è congegnato ci vorranno decine di adempimenti a carico dell’imprenditore che di fatto finiranno per svilire l’iniziativa ed esaltare la burocrazia.
In questo momento di difficoltà per l’economia la parola d’ordine deve essere una sola: semplificare. Gli imprenditori devono poter concentrarsi sul “rilancio” della propria attività, su come farla ripartire e non devono certo essere condizionati da adempimenti preliminari e controlli successivi che si possono evitare.
I soldi che lo Stato raccoglie con l’Irpef vanno spesi per le pensioni, che fanno parte del sistema di protezione sociale, per la sanità, per economia e lavoro, per l’Istruzione e non per alimentare una macchina burocratica costosa e autoreferenziale.