Al nostro auspicato intervento sono seguite parole di conferma e, allo stesso tempo, di momentaneo conforto: i fatti, poi, rafforzeranno quest’ultimo. Ebbene sì, il nostro «rimettere mano a una significativa rimodulazione delle pressione fiscale» ha trovato un immediato riscontro nelle parole del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che, durante la sua recente audizione sulla Nota di aggiornamento al Def (Nadef), ha dichiarato: «Le tasse non aumenteranno ma si ridurranno l’anno prossimo, ci sarà a regime per 12 mesi la riduzione sostanziale dell’Irpef attraverso l’estensione annuale della riduzione del cuneo fiscale che quest’anno è partita a luglio, e ci sarà la fiscalità di vantaggio per il Sud per tutto l’anno. Già questi due elementi determineranno una riduzione delle tasse». Inoltre: «Anche la riforma fiscale punta a una riduzione fiscale che noi intendiamo realizzare nel triennio perché sarà composta di vari moduli, ma il modulo principale cioè quello della riforma dell’Irpef vogliamo che sia operativo dal 1 gennaio 2022».
Si tratta di un buon punto di partenza che, senza nulla togliere, potrebbe far ben sperare. Il condizionale è d’obbligo poiché, nella storia dei vari Governi che si sono succeduti negli anni, la riforma fiscale è sempre stata anticipata, paventata e propagandata ai cittadini, ma, numeri alla mano, le effettive applicazioni sono per lo più venute meno. A sostegno di questa considerazione ci viene in aiuto il “Documento di ricerca. Analisi della pressione fiscale in Italia, in Europa e nel Mondo” predisposto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e dalla Fondazione Nazionale Commercialisti.
Il rapporto elaborato delinea il perimetro storico e attuale della pressione fiscale italiana che, nello specifico, registra una crescita complessiva di 11,1 punti di Pil (dal 1980 al 2019). In questo trend, il peso maggiore è quello delle imposte (+11,3%) ripartite tra indirette (+6,2%) e dirette (+5,1%). I contributi previdenziali, invece, registrano una flessione dello 0,2%.
Nello stesso documento viene inoltre confermato un nostro triste primato rispetto ai paesi Ue-27: «Il quadro di sintesi degli indicatori mostra, infatti, come l’Italia occupi, generalmente, le prime posizioni in termini di incidenza del peso fiscale, mentre si colloca agli ultimi posti in termini di efficienza del sistema economico e, soprattutto, del sistema fiscale».
L’analisi, inoltre, continua il proprio approfondimento con il confronto degli indicatori di pressione fiscale italiani e il confronto internazionale: «Ancora particolarmente elevato il peso del prelievo fiscale in Italia sia a livello macro, con il 42,4% ufficiale e il 48,2% reale, sia a livello micro con un cuneo fiscale del 48% e un total tax rate del 59,1%. La riduzione della pressione fiscale, iniziata nel 2014, dopo l’ultimo pesante shock del 2012-2013, si è interrotta nel 2018 ed ha riguardato prevalentemente le imprese, dal momento che la pressione fiscale sulle famiglie non ha beneficiato di questa riduzione ed è, anzi, risultata in aumento».
Come si può evincere dai dati presentati, il valore della pressione fiscale riveste una duplice forma tra quella cosiddetta «ufficiale» (42,4%) e quella «reale» (48,2%). La prima è data essenzialmente dalla prevista imposizione (v. imposte), mentre la seconda (di maggiore entità) prende in considerazione il «sommerso» e «l’economia illegale» che, con i loro 215 miliardi di euro, rappresentano il 12% del Pil nazionale. In base ai valori di quest’ultima, l’Italia nel confronto europeo, balzerebbe al primo posto nella classifica dei Paesi a maggiore tassazione.
Il quadro complessivo in capo agli italiani è chiaro: un fisco da primato per via della sua stessa evasione. Per meglio contrastare questa tendenza è opportuno un intervento senza precedenti e, mai come oggi, le condizioni e gli strumenti a nostra disposizione sono molti e devono essere impiegati (non sprecati). Appare inutile un approccio “tradizionale” come già accaduto negli anni trascorsi (il precedente grafico è molto chiaro): ora bisogna avere coraggio. È necessaria nuova linfa a sostegno di tutte le innumerevoli idee e iniziative che sono già presenti sui tavoli dei decisori e, contraddicendo il celebre Charles Darwin, ora serve più forza e intelligenza perché l’ «adattarsi al cambiamento» rappresenterebbe, purtroppo, solo quanto vissuto finora: la sopravvivenza.