La pausa è durata lo spazio di un week-end. Per Mario Draghi è già ora di tornare all’ordinaria follia della navigazione del suo litigioso governo di unità nazionale. Non sarà facile, anche se dal G20 di Roma, al di là della valutazione dei risultati concreti, il premier è uscito certamente rafforzato, un successo sul piano personale insieme a quello di squadra sul piano diplomatico e organizzativo.



La testa ora deve tornare sulla manovra economica, approvata venerdì scorso dal Consiglio dei ministri all’unanimità, e salutata con un applauso che per un attimo ha mascherato le divisioni, che ci sono, innegabili. Per quanto si tratti di una manovra fortemente espansiva, i nodi da sciogliere non mancano. Figurarsi se si fosse trattato di una legge di bilancio “lacrime e sangue”, come più volte avvenuto negli anni che hanno preceduto la pandemia.



Tre, essenzialmente, sono le questioni aperte. La prima da sola rende evidente la sfiducia di Draghi nella capacità dei partiti di volare alto in questo momento. Si tratta dei 12 miliardi di euro destinati al taglio delle tasse, che Palazzo Chigi ha provvisoriamente “congelato” in un fondo cui manca ancora l’esatta destinazione. Questa via inusuale è stata scelta di fronte alle avvisaglie di una zuffa fra le forze politiche intorno alla destinazione del “tesoretto”. La distribuzione verrà definita nel corso del passaggio parlamentare, consentendo più tempo per la mediazione fra posizioni di partenza estremamente lontane. Letta, ad esempio, vorrebbe concentrare l’intervento sul lavoro, su chi lo dà e su chi lavora. Salvini, che avrebbe voluto più risorse, pensa anche al taglio delle bollette energetiche (quattro miliardi dovrebbero andare comunque in questa direzione) e alle partite Iva. Una priorità questa rilevante anche per Forza Italia.



Non meno acceso si preannuncia il confronto sulla riforma delle pensioni. Draghi ha avvertito Salvini che il regime provvisorio di “Quota 100” non sarà prorogato oltre la sua scadenza del 31 dicembre. E se il leader leghista ha borbottato, ma ha cominciato un faticoso riposizionamento, non altrettanto hanno fatto i sindacati, che si sono dichiarati profondamente insoddisfatti dalla proposta di mediazione di alzare il limite a “Quota 102” (64 anni di età e 38 di contributi) per il solo 2022. Landini, Sbarra e Bombardieri minacciano lo sciopero, ma la sfida lanciata dal premier è quella di pensare ai giovani, di non arroccarsi troppo in difesa di squilibri che vengono giudicati indifendibili. Draghi che abbandona il tavolo, infastidito dalla rigidità della controparte sindacale, nonostante l’ufficiale motivazione di altri impegni, è l’emblema di un braccio di ferro che si prospetta difficile. Lo dimostra il richiamo ai giovani, alle loro scarse prospettive previdenziali, sbattuto in faccia ai leader sindacali. Salvini, per parte sua, deve scegliere se in questo scontro sia più opportuno defilarsi oppure schierarsi con Cgil, Cisl e Uil, con tutti i rischi di sconfitta che questo comporta.

Anche sul reddito di cittadinanza Draghi sa che dovrà agire con gradualità per imporre la sua linea. Da una parte la strenua difesa che i 5 Stelle fanno della loro bandiera, dall’altra le pressioni per un significativo ridimensionamento da parte di Lega, Forza Italia e Italia viva, con il Pd fra i due fuochi. La differenza rispetto a “Quota 100” è che, almeno in linea di principio, il premier riconosce la validità del reddito, mentre ha sempre stroncato l’utilità della corsia agevolata per l’uscita dal mondo del lavoro.

Le due riforme simbolo del primo governo Conte rischiano, di conseguenza, di uscire dalla discussione della manovra economica una cancellata e l’altra così profondamente modificata da risultare irriconoscibile per i suoi promotori. Ma la linea indicata dall’Europa è questa, e Draghi è pronto a mettere in campo tutto il proprio peso politico ed il suo prestigio. Ci sono pochi dubbi sul fatto che la sua linea politica finirà per prevalere, anche i leader di partito lo sanno, sono quasi rassegnati all’idea, anche se tenteranno sino all’ultimo di strappare concessioni favorevoli. Di fronte alla maggioranza di governo si aprono due mesi particolarmente turbolenti, che tutti interpreteranno con l’occhio rivolto alla partita successiva, quella del Quirinale. Ma anche in quel caso il primo parere da tenere in considerazione sarà quello di Mario Draghi.

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