Partiamo da qualche numero. Gli italiani hanno pagato Irpef (addizionali incluse) nel 2019 – quindi con riferimento al 2018 – per 194 miliardi e le imprese 35 miliardi per l’Ires. È su queste due “grandezze” che bisogna lavorare per individuare la copertura delle misure da mettere in atto e, attraverso l’introduzione di nuovi meccanismi per pagare le tasse, mantenere nelle tasche degli italiani (imprese e lavoratori autonomi) ulteriore liquidità.



Gli interventi decisi dal Governo ancora non sono effettivi e in alcuni casi difficilmente raggiungeranno il loro scopo. Non sarà facile consentire a tutti l’accesso al credito e bisogna lavorare affinché anche le aziende più deboli sopravvivano. Nel Mezzogiorno soprattutto, se non vogliamo alimentare l’economia sommersa.



Una prima proposta riguarda l’emissione di titoli di debito, un’emissione di lungo periodo con titoli di Cassa depositi e prestiti. La consistenza ottenuta dovrebbe servire quale “fondo sovrano” per porre sotto tutela le aziende strategiche italiane (Enel, Eni, Leonardo, Poste). Grazie a questa emissione si potrebbe comprare i titoli di queste aziende direttamente da chi ha bisogno di smobilizzarli per esigenza di liquidità. In questo caso si potrebbe ipotizzare anche un obbligo di acquisto per chi supera una determinata soglia di reddito, che non si vedrebbe defraudato ma stimolato a essere partecipe di un’operazione di difesa e sviluppo del patrimonio industriale del Paese. A questa prima emissione potrebbe essere aggiunta una seconda di più lungo periodo di titoli liberamente sottoscrivibili con cedola del 2% annuo da restituire in 30 anni in dichiarazione dei redditi, mediante il meccanismo della detrazione di imposta o della deducibilità fiscale.



Una seconda proposta riguarda il reddito fiscale e la creazione di un istituto ex novo di durata triennale. Il meccanismo dovrebbe creare un “reddito medio” da conguagliare di anno in anno per i tre anni di validità. Cosicché per l’anno 2019, quindi nel 2020, si pagherebbe solo il 70% delle imposte relative alla dichiarazione per l’anno fiscale 2019 e su questa liquidazione andrebbero pagati gli acconti per il 2020. Nel 2021 si prenderebbe il reddito maturato nel 2020 e lo si conguaglierebbe con quello conseguito nel 2019 e su questo risultato medio andrebbero calcolate le imposte e gli acconti da versare per l’anno 2021 e cosi via per l’anno 2022. Questo meccanismo non si applicherebbe a chi delocalizza all’estero, ma si offrirebbe rafforzato a chi ritorna in Italia. Anzi, a costoro dobbiamo offrire un regime fiscale simile a quello garantito a chi sposta la sede legale in Olanda.

Poi vi sono altre importanti innovazioni da introdurre con piccoli sforzi. Come allargare in maniera graduale il reverse charge ai rapporti tra imprese e professionisti e imprese/imprese onde evitare che ci siano aziende che continuano a trattenere l’Iva per “autofinanziamento”.

È il momento di rivedere il sistema delle detrazioni presenti nel quadro RP e limitarle a quelle strettamente utili e di elevato valore sociale: sanitarie, mutui, deduzioni per donazioni verso la ricerca e il Terzo settore in generale. Sarebbe utilissimo introdurre per l’anno 2020 contributi figurativi ai fini pensionistici per tutte le gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi (comprese artigiani e commercianti). Salvo nel 2022 restituirli per tutti coloro che conseguono un reddito pari o superiore alla media di quello conseguito nei due anni precedenti. Chi invece non ce l’avrà fatta potrà conservare l’aiuto ricevuto. Così operando garantiremo a tutti liquidità, anche a chi, pur non avendo problemi di reddito in futuro, sta avendo oggi problemi a incassare. Attraverso questo meccanismo gli enti previdenziali dovranno solo controllare ex post e non esercitare il potere discrezionale di dire “a te sì e a te no”.

Altra opportunità dovrebbe derivare dalla sospensione del codice civile per le perdite che si materializzano nel 2020. Le perdite non dovrebbero contribuire all’applicazione delle norme di tutela del patrimonio netto. La perdita maturata non dovrebbe essere computata ai fini della tutela patrimoniale e per la copertura ci sarebbe tempo tre anni. Così si eviterebbe una ricapitalizzazione difficile da immaginare oggi e l’avvio di misure concorsuali. Anzi, sarebbe il caso di differire di un anno i piani di risanamento già approvati per le aziende soggette a procedure, prorogando la scadenza al 31/12/2021. Gli attuali sei mesi di proroga non tengono conto della stagionalità di talune attività.

In un momento come quello che stiamo vivendo in Italia dobbiamo dimostrare che siamo una nazione in grado di risolvere i nostri problemi, rimboccandoci le maniche. Dobbiamo farlo per poter sedere ai tavoli europei con dignità e autorevolezza per poi chiedere all’Europa un salto di qualità. Ma quello che conta oggi è dare ai nostri giovani il segnale che siamo una nazione.

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